Affidamento della contabilità ad un commercialista - Elemento oggettivo e soggettivo
Nota a Sentenza, Cass. pen. 14.6.2023 n. 25585
Il caso portato alla attenzione della Corte di Cassazione (ricorrenti sono due persone fisiche che si erano viste confermare in Corte di Appello la decisione sfavorevole del Tribunale) concerne una situazione in cui vi sono più fattispecie di reato e nello specifico abbiamo:
a) operazioni di cui all'articolo 3 della legge penale tributaria (quindi operazioni fraudolente);
b) utilizzo di crediti inesistenti per non versare le somme dovute (imposte e contributi);
c) occultamento delle scritture contabili.
La decisione della Corte di Appello conferma quella del tribunale e quindi le due persone fisiche subiscono una condanna e per questo motivo ricorrono alla Corte di Cassazione.I ricorrenti contestano la decisione della Corte di Appello facendo leva su due aspetti che andiamo a delineare nel seguito.
Con il primo motivo di ricorso asseriscono che la sentenza sarebbe erronea per "…la violazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizi di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento della relativa causa di non punibilità, con violazione degli artt. 3 e 24 Cost …".
In modo più specifico i ricorrenti fanno notare che "…la Corte di appello di Roma non ha considerato che la R.C srl. ha interamente pagato il debito tributario oggetto delle contestazioni mosse a G.R ai capi a) e ID) dell'imputazione. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, un'applicazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'art 13 del d.lgs n. 74 del 2000 avrebbe condotto ad una pronuncia di non punibilità nei confronti del predetto ricorrente in relazione ai reati a lui ascritti, in ragione dell'intervenuto integrale pagamento della cospicua somma oggetto di concordato con l'amministrazione finanziaria.
Infatti, la predetta disposizione prevede una speciale causa di non punibilità in relazione ai reati previsti dagli artt, 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, a seguito dell'integrale pagamento da parte dell'imputato di tutti i debiti tributari, ma non consente al giudice di concedere un termine utile al fine di estinguerli superiore a quello di sei mesi, così impedendo di potersi avvalere del beneficio a chi non si trovi nelle condizioni di provvedere al pagamento prima dell'apertura del dibattimento …".
Con il secondo motivo di ricorso gli istanti fanno notare che vi sarebbero violazioni di legge nella decisione della Corte di Appello e precisamente vi sarebbero "… violazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizi della motivazione …".
Sul punto "… la difesa evidenzia come un'attenta lettura degli atti di causa e una valutazione del complessivo comportamento di G.G. avrebbe dovuto condurre a conclusioni opposte rispetto a quelle erroneamente rassegnate in sentenza, in quanto a carico dell'odierno ricorrente non sarebbe possibile ravvisare né la contestata condotta di occultamento delle scritture contabili né il dolo specifico richiesto dalla fattispecie normativa contestata. Pertanto, i giudici di merito avrebbero ritenuto erroneamente consumato il delitto in presenza di un mero comportamento omissivo, quale la semplice omessa consegna delle scritture contabili, quando si sarebbe dovuto appurare un quid pluris, ovvero la previa esistenza di detti documenti contabili.
Inoltre, la difesa lamenta che il reato si connota per l'esistenza di un ulteriore elemento oggettivo, consistente nell'impossibilità per la Guardia di Finanza o per l'Agenzia delle Entrate di ricostruire il volume d'affari: impossibilità che non sarebbe stata riscontrata nel caso di specie poiché le scritture depositate sarebbero state sufficienti per la ricostruzione tanto del volume di affari quanto delle illecite operazioni contestate alla stessa società per l'anno di imposta 2013.
Si deduce anche che il ricorrente non avrebbe occultato le scritture obbligatorie previste dalla norma, poiché al momento dell'avvio dell'accertamento fiscale non era in possesso delle stesse, che erano detenute dal precedente commercialista della società, il dott. S.V., il quale aveva intrattenuto i contatti con i funzionari dell'Agenzia delle Entrate in via esclusiva, dall'avvio fino alla chiusura delle operazioni di verifica. Solo dopo la chiusura della verifica, l'imputato, preso atto della gestione poco collaborativa, avrebbe revocato ogni tipo di incarico al predetto commercialista, decidendo di gestire in prima persona i rapporti con l'Agenzia delle Entrate …".
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e in questa sede andiamo a vedere in maggior dettaglio le affermazioni che sono portate in sentenza con riferimento al secondo motivo.
La Corte di Cassazione fa notare che il secondo motivo è da respingere perché lo stesso "… è inammissibile, in quanto fornisce una prospettazione contraddittoria, affermando, da un lato, la mancata istituzione della documentazione richiesta, e, dall'altro, il mancato contingente possesso della stessa, in quanto era in possesso del commercialista. Inoltre, l'esistenza della contabilità risulta dagli stessi capi di imputazione - che fanno riferimento ai registri IVA - per cui vi è stata condanna, mentre la circostanza che il volume d'affari e i redditi sarebbero stati comunque ricostruibili dall'autorità procedente è meramente asserito dalla difesa, contro l'evidenza degli atti …".
La Corte di Cassazione prosegue sulla via ben nota secondo cui "… deve in ogni caso ricordarsi che, in tema di reati tributari, l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale, in quanto la norma tributaria considera come personali ed indelegabili i relativi doveri, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l'inoltro telematico della dichiarazione dei redditi ( Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020 , Rv. 278421).
Più nel dettaglio, in ordine alle modalità della condotta di specie, si deve evidenziare che anche l'occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (c:d. fatture passive) integra il reato di cui all'art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell'esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (Sez. 3, Sentenza n. 15236 del 16/01/2015, Rv. 263050); la relativa responsabilità incombe sul soggetto legale rappresentante della società, tenuto alla conservazione dei documenti rilevanti.
Inoltre, in ordine all'impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili, tale elemento, costitutivo del reato di cui all'art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non deve essere inteso in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde (Sez. 3, n. 7051 del 15/01/2019, Rv. 275005 - 01; Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862 - 02, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che il reato deve essere escluso, per mancanza di offensività, solo nel caso in cui il risultato economico delle operazioni possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dallo stesso imprenditore) …".
Per concludere dico che trattasi di una sentenza che mi pare si ponga nel solco classico e ormai ben noto e che non mi sento di criticare nella sua formulazione.
* a cura del Dottor Paolo Comuzzi