Penale

Aggiornamenti normativi sulle criptovalute in Italia

Non è solo l'impennata di valore del Bitcoin che in questi giorni ha superato la soglia dei 60,000 US$ per unità a richiamare l'attenzione del mondo legale sul fenomeno delle criptovalute, ma anche l'acquisto per 200 milioni di dollari da parte di "Paypal" dell'azienda israeliana "Curv", proprietaria di una piattaforma per la gestione e la custodia di crypto-assets

immagine non disponibile

di Silvio Rizzini Bisinelli*


Non è solo l'impennata di valore del Bitcoin che in questi giorni ha superato la soglia dei 60,000 US$ per unità a richiamare l'attenzione del mondo legale sul fenomeno delle criptovalute, ma anche l'acquisto per 200 milioni di dollari da parte di "Paypal" dell'azienda israeliana "Curv", proprietaria di una piattaforma per la gestione e la custodia di crypto-assets.

Nonostante l'interesse del grande pubblico fosse scemato dopo il picco tra la fine del 2017 e gli inizi del 2018 (con un tasso di cambio di circa 1BC/17,500 US$) è evidente che lo sviluppo della tecnologia collegata alle cryptovalute e la diffusione tecnologica e culturale del fenomeno non si era in realtà mai fermata. Quindi oggi può essere interessante riepilogare a che punto si è giunti con la disciplina del fenomeno in Italia.

Le Autorità italiane di fronte alla diffusione delle criptovalute si sono concentrate su tre direttrici principali: a) combattere l'uso delle criptovalute per usi illegali come il riciclaggio di denaro e il terrorismo; b) definire la tassazione del business del trading di criptovalute, c) proteggere gli utenti dei mercati finanziari nazionali e soprattutto i consumatori.

Combattere l'uso delle criptovalute ai fini di riciclaggio è stata una conseguenza del recepimento della 4. e 5. direttiva europea antiriciclaggio (AML Directive), in particolare con i d.lgs 90/2017 e 125/2019, che hanno integrato la Legge n. 231/2007 (quest'ultima, di seguito, così come da ultimo modificata, "ItAML"). Le predette iniziative legislative hanno ampliato l'ambito di applicazione della normativa antiriciclaggio (primo fra tutti, l'obbligo di adeguata verifica del cliente), includendovi espressamente il c.d. wallet provider, ossia "qualsiasi persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, su base professionale, anche online, servizi di custodia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, allo scopo di detenere, conservare e trasferire valute virtuali" (ItAML - Art. 1 co. 2 (ff-bis) e Art. 3 co. 5 (i-bis)), e previsto l'obbligo di iscrivere gli exchanger e wallet provider in un apposito registro presso l'Organismo nazionale degli Agenti e Mediatori (OAM) nonché in un registro nazionale tenuto dal Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze (D.lgs 90/2017 - Art. 8 par. 8 par. 1, che introduce l'art. 17-bis co. 8-bis e 8-ter del decreto n. 141/2010 sul credito al consumo).

Tuttavia, il citato registro nazionale degli exchanger e wallet provider e la piattaforma per la notifica al MEF non esistono ancora e quindi l'applicazione concreta dei doveri e degli obblighi antiriciclaggio non è ancora stata attuata. Inoltre, un sistema di tracciamento e vigilanza finalizzato all'identificazione delle persone fisiche che utilizzano asset digitali senza il coinvolgimento di terzi fornitori, non è stato ancora neppure ipotizzato. Sugli aspetti fiscali, con Risoluzione n. 72E/2016 la Agenzia delle Entrate ha chiarito che le attività di prestazione di servizi connessi con la tenuta e lo scambio di critptovalute sono da considerare attività esenti ex art 10, primo comma, n. 3) del dpr n. 633/1972.

Ai fini della determinazione dell'imposta sul reddito, invece, le plusvalenze realizzate da persone fisiche (non nell'ambito di attività commerciali) sono rilevanti se il valore medio detenuto da ciascun contribuente italiano supera l'importo limite di stock (soglia) di 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi (Risoluzione n. 956-39/2018 della Direzione Regionale della Agenzia delle Entrate Lombardia). In questo caso si applicano gli obblighi dichiarativi (Quadro RT) e la conseguente tassazione con aliquota del 26% (art, 67 Tuir).

Al contrario, secondo la legge italiana sull'imposta sul reddito d'impresa, le plusvalenze delle società realizzate con criptovalute sono sempre rilevanti dal punto di vista fiscale e soggette alla tassazione ordinaria delle imprese. Nessuna norma sembra infine imporre che le società che forniscono il servizio di intermediazione e/o custodia di cripto-assets siano, ad oggi, ritenute sostituti d'imposta.

Sotto il profilo della opportunità di tutelare e proteggere utenti e consumatori dei mercati finanziari nazionali, la CONSOB è intervenuta con alcune decisioni che fungono da orientamento.

Con decisione n. 20660 del 31 ottobre 2018, la CONSOB collocava le criptovalute all'interno della categoria degli "strumenti finanziari" non in via generale ma solo a determinate condizioni; in particolare per farle rientrare nell'anzidetta categoria, devono sussistere: (i) un investimento di capitale, (ii) un'aspettativa di rendimento di natura finanziaria e (iii) l'assunzione di un rischio inerente all'impiego del capitale. Poiché l'emissione e la negoziazione di strumenti finanziari è attività riservata e penalmente tutelata (cfr. reato di "abusivismo finanziario" ai sensi dell'art. 166, comma 1, del TUF), tale definizione del presupposto per l'applicazione della riserva di attività rappresenta un punto cardine della normativa attuale.

Sul punto anche la recente Cass. Pen Sez. II 25 settembre 2020 n. 26807 sembra orientata a riconoscere la natura di strumento finanziario alla criptovaluta nel caso concreto solo in quanto "la vendita di bitcoin veniva reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento".

Infine, con la recente relazione programmatica emanata il 2 gennaio 2020 ("il Rapporto Finale Consob"), la CONSOB ha preannunciato quelle che potranno essere le linee guida per la concreta attuazione di un quadro normativo relativo allo scambio di cripto-valute, nonché alla disciplina dei portafogli digitali e della connessa attività di deposito e custodia in Italia.

In primo luogo, la CONSOB intende censire le piattaforme di trading esistenti in Italia e riconoscere quelle lanciate da un paese estero in esecuzione di accordi bilaterali di riconoscimento reciproco.

Viene accantonata l'ipotesi di prevedere normativamente una serie di requisiti relativi agli emittenti/promotori, ma la CONSOB sembra orientata a stabilire minimi criteri informativi sulle transazioni, sugli strumenti, sui protocolli tecnologici delle piattaforme di emissione; in secondo luogo, la CONSOB auspica la creazione di un registro aggiuntivo relativo ai servicer che intendono offrire servizi di post-trading ("Digital Wallet Service Provider") in relazione ad asset digitali, come ad esempio la custodia degli stessi.

L'iscrizione a questo secondo registro sarebbe condizionata al fatto che il service provider sia dotato di procedure che garantiscano l'identificazione dei clienti, la segregazione dei diversi portafogli, il regolamento efficiente delle operazioni di negoziazione delle cripto-attività, la gestione dei rischi connessi con lo svolgimento dei servizi, compresa la garanzia di continuità operativa, la gestione dei conflitti di interesse ed in generale la garanzia di una sana e prudente gestione.

Il 24 settembre 2020, la Commissione Europea nell'ambito del "pacchetto per la finanza digitale", articolato su più fronti, ha presentato una "Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo ai mercati delle cripto-attività e che modifichi la direttiva (UE) 2019/1937 (Testo rilevante ai fini del SEE); trattasi di una proposta di regolamentazione a livello europeo delle "cripto-attività" che si sovrappone, in parte, all'orientamento – per certi versi pionieristico – che intendeva adottare in Italia la Consob.

In particolare, la Commissione Europea propone una regolamentazione diversa a) delle "cripto-attività" diverse da strumenti finanziari, riconoscendo l'autonomia a detto fenomeno e b) degli strumenti finanziari basati sulla "distributed ledger technology".

La proposta si basa sull'articolo 114 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea), che conferisce alle istituzioni europee la competenza di stabilire le disposizioni appropriate per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno. La proposta mira a rimuovere gli ostacoli all'instaurazione e a migliorare il funzionamento del mercato interno dei servizi finanziari garantendo la piena armonizzazione delle norme applicabili.

*a cura di Silvio Rizzini Bisinelli, avvocato, partner Rödl & Partner

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©