Lavoro

AI e lavoro subordinato: nuove prospettive di redistribuzione e valorizzazione di tempo e salario

La capacità di produrre di più in meno tempo, grazie all’automazione e al potenziamento delle competenze operative, impone un ripensamento delle logiche retributive del valore generato dall’AI; tre sono i possibili strumenti di redistribuzione: riduzione di orario a parità di salario, sistema “misto” e modello integrato

La centralità del tempo nella determinazione della retribuzione

Secondo l’art. 36 della Costituzione, la retribuzione nel lavoro subordinato deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, garantendo al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Questo principio di giustizia sociale si è tradotto storicamente in un modello che lega la retribuzione al tempo di lavoro, in linea con la natura del lavoro subordinato, che implica la messa a disposizione delle energie lavorative per un certo periodo di tempo. A differenza del lavoro autonomo, il lavoro subordinato non richiede un opus perfectum, ma una prestazione continuativa, da svolgere con la diligenza richiesta dal tipo di lavoro. Di conseguenza, la retribuzione è legata al tempo in cui il lavoratore è soggetto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dell’impresa.

Il tempo di lavoro è un parametro di riferimento sotto due profili: diretto, per il calcolo della retribuzione oraria, degli straordinari e del part-time; indiretto, per la retribuzione mensilizzata e il computo di ferie, riposi e assenze retribuite. Il legame tra tempo di lavoro e retribuzione si basa su un principio giuridico consolidato: la durata e la qualità della prestazione, regolate dalla contrattazione collettiva e dalla legge, determinano l’entità della retribuzione.

Tuttavia, questo modello consolidato è oggi messo in discussione dall’introduzione dell’Intelligenza Artificiale (IA) nei processi produttivi, che rischia di scardinare il tradizionale rapporto tra tempo e retribuzione.

Se l’IA consente di produrre di più in meno tempo, ha ancora senso legare la retribuzione al tempo di lavoro? O è necessario ripensare il modello retributivo per evitare che solo il datore di lavoro tragga beneficio dall’innovazione tecnologica?

La questione non è meramente teorica, ma investe il cuore del modello lavoristico tradizionale, imponendo un ripensamento dei meccanismi di quantificazione della retribuzione per evitare una distorsione redistributiva, che concentri i benefici dell’innovazione tecnologica esclusivamente nelle mani dell’impresa, senza un adeguato riconoscimento del valore del lavoro umano.

La trasformazione della prestazione lavorativa: dalla disponibilità temporale alla sinergia Uomo-Macchina

L’Intelligenza Artificiale non rappresenta una mera innovazione strumentale, bensì un elemento di profonda discontinuità nel paradigma produttivo, poiché altera il rapporto tra l’impegno temporale del lavoratore e la quantità di output generato.

Nel modello tradizionale di lavoro subordinato, il tempo è utilizzato come parametro di valutazione della prestazione perché si ritiene che la produttività individuale rimanga relativamente costante. Di conseguenza, il sistema retributivo si basa sull’equità tra impegno temporale (cioè, la quantità di lavoro prestato) e compenso. La qualità della prestazione, intesa come efficienza o competenza, è riconosciuta attraverso premi o livelli retributivi superiori per mansioni più qualificate.

L’IA rompe questo equilibrio: riduce i tempi di esecuzione e potenzia le capacità del lavoratore, aumentando sensibilmente la produttività. La sua introduzione nei processi lavorativi non solo accelera l’esecuzione delle attività, ma amplifica le competenze operative, generando un incremento di produttività significativo.

Si delinea così una frattura rispetto alla logica tradizionale del rapporto di lavoro. In passato, nel modello classico di lavoro subordinato, la prestazione lavorativa era strettamente legata al tempo di lavoro e alla capacità individuale del lavoratore.

Ad esempio, un impiegato amministrativo che doveva inserire manualmente dati contabili in un sistema informatico poteva elaborare, nell’arco di una giornata lavorativa, un certo numero di documenti (X). Oggi, grazie all’integrazione di strumenti basati sull’intelligenza artificiale, lo stesso lavoratore, operando con il supporto di software automatizzati e sistemi di machine learning, è in grado di elaborare un numero di documenti significativamente superiore (Y), a parità di tempo e di impegno. Questo aumento di produttività (Y > X) è determinato non da una maggiore competenza o da un incremento dell’orario di lavoro, ma dall’ausilio della tecnologia, che consente di velocizzare e ottimizzare le operazioni.

La stessa dinamica si verifica anche per le mansioni che richiedono una differente professionalità. Un operaio con competenze di base, che nel modello tradizionale forniva un apporto produttivo limitato (X), può oggi, grazie all’automazione e al supporto di assistenti digitali, raggiungere livelli di produttività superiori (Y), senza però un corrispondente incremento delle competenze professionali. Ad esempio, un impiegato senza particolari competenze linguistiche, che in passato non avrebbe potuto gestire richieste in una lingua straniera, può oggi rispondere efficacemente a clienti esteri grazie a sistemi di traduzione automatica in tempo reale.

Questa evoluzione segna un cambiamento significativo nella logica del rapporto di lavoro, poiché la produttività non dipende più soltanto dalle capacità e dall’impegno individuale, ma anche dall’efficacia degli strumenti tecnologici messi a disposizione dal datore di lavoro.

Questa trasformazione genera interrogativi ineludibili:

  • 1. Se il lavoratore, grazie all’IA, è in grado di raggiungere lo stesso obiettivo in meno tempo, deve lavorare meno a parità di retribuzione?
  • 2. Se il lavoratore, grazie all’IA, è in grado di produrre di più nello stesso tempo, deve essere retribuito di più?
  • 3. Se il tempo di lavoro non è più misura adeguata della quantità della prestazione, quale criterio può sostituirlo?

Il rischio è che l’IA aumenti i profitti dell’impresa senza benefici per i lavoratori. Diviene dunque necessario individuare meccanismi redistributivi idonei a riequilibrare il rapporto tra produttività e retribuzione, al fine di evitare una svalutazione progressiva del lavoro umano.

Le ipotesi di redistribuzione del valore generato dall’IA

Alla luce delle criticità evidenziate, diviene necessario individuare soluzioni capaci di riequilibrare il rapporto tra tempi di lavoro, produttività e retribuzione.

In questa prospettiva, emergono tre possibili strumenti di redistribuzione del valore prodotto dall’IA:

  • 1. La riduzione dell’orario di lavoro, senza riduzione della retribuzione, per redistribuire ai lavoratori il tempo liberato dall’IA, garantendo un miglior bilanciamento tra vita professionale e personale.
  • 2. Un modello retributivo misto, con una parte fissa e una parte legata ai risultati, può garantire sia stabilità economica sia un riconoscimento per l’aumento di produttività favorito dall’IA.
  • 3. Un sistema integrato tra le due suddette soluzioni, che preveda una rimodulazione dell’orario di lavoro accompagnata dall’introduzione di meccanismi di retribuzione variabile, consentendo di coniugare la riduzione del tempo di lavoro con il riconoscimento economico della maggiore produttività.

Riduzione dell’orario di lavoro senza riduzione della retribuzione

La riduzione dell’orario di lavoro è una risposta coerente alla trasformazione introdotta dall’IA, in continuità con la storica tendenza del diritto del lavoro ad accompagnare l’innovazione con una riduzione del tempo lavorato, senza penalizzare la retribuzione. Basti ricordare che la transizione dalle 48 ore settimanali alle attuali 40 ore fu il risultato di un processo di adattamento alle mutate condizioni produttive. Allo stesso modo, oggi, l’aumento dell’efficienza indotto dall’IA potrebbe legittimare un’ulteriore contrazione dell’orario di lavoro, senza che ciò determini una riduzione dei livelli salariali.

Esperienze empiriche dimostrano la praticabilità di tale modello. Uno studio condotto da Autonomy, un think tank indipendente con sede nel Regno Unito specializzato in ricerca sul futuro del lavoro e sulle politiche economiche, ha stimato che, entro il 2033, circa 8,8 milioni di lavoratori nel Regno Unito (pari al 28% della forza lavoro) potrebbero passare da una settimana lavorativa di 40 a 32 ore (equivalente a quattro giorni), mantenendo invariata la produttività grazie ai guadagni di efficienza derivanti dall’adozione dell’IA (Autonomy, 2023). L’analisi di Autonomy si inserisce in un più ampio dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro come strumento per redistribuire i benefici dell’automazione, evidenziando come l’incremento di efficienza derivante dall’Intelligenza Artificiale possa tradursi in una diminuzione del tempo lavorato senza impatti negativi sulla produzione.

L’applicazione di questa soluzione potrebbe avvenire attraverso diverse modalità, ciascuna con proprie specificità e implicazioni operative:

Riduzione dell’orario settimanale senza impatto sulla retribuzione, con una diminuzione strutturale delle ore lavorative, garantendo al contempo la stessa retribuzione. Questa misura potrebbe essere applicata su base individuale o collettiva, a seconda delle esigenze dei singoli settori aziendali e contrattuali.

Aumento del numero di ferie e permessi retribuiti, come strumento per redistribuire indirettamente il valore generato dall’IA, consentendo ai lavoratori di beneficiare di periodi di riposo aggiuntivi senza penalizzazioni economiche.

Maggiore flessibilità oraria, con una ridefinizione basata sugli obiettivi raggiunti, tramite strumenti come la settimana corta o fasce orarie flessibili.

Tali strumenti, seppur attuabili singolarmente, possono anche essere combinati tra loro, creando un sistema flessibile e adattabile ai diversi contesti produttivi. Ad esempio, una riduzione dell’orario di lavoro potrebbe essere affiancata da una maggiore flessibilità organizzativa, mentre l’aumento delle ferie retribuite potrebbe rappresentare una misura complementare in settori dove una riduzione dell’orario settimanale non sia immediatamente praticabile.

Un modello retributivo misto: parte fissa e parte variabile

La revisione del modello retributivo potrebbe avvenire attraverso l’introduzione di un sistema misto di retribuzione, articolato su:

• una parte fissa, atta a garantire stabilità economica e continuità del rapporto di lavoro;

• una parte variabile, legata all’aumento della produttività determinato dall’uso dell’IA.

Questo modello, se adeguatamente regolato, consentirebbe di preservare la sicurezza retributiva tipica del lavoro subordinato, pur introducendo meccanismi premiali in grado di riconoscere l’incremento di produttività e redistribuire equamente i benefici della tecnologia, combinando riduzione del tempo di lavoro e valorizzazione economica dell’efficienza migliorata.

Affinché tale assetto sia compatibile con i principi del diritto del lavoro italiano, occorre tuttavia adottare specifici correttivi:

Equilibrio tra parte fissa e parte variabile: la quota variabile della retribuzione non deve superare un limite ragionevole, oltre il quale la retribuzione rischierebbe di trasformarsi in una forma surrettizia di retribuzione per risultato. Tale rischio deve essere evitato, così come avvenuto in passato con riferimento alla retribuzione a cottimo, rispetto alla quale il legislatore e la contrattazione collettiva hanno introdotto correttivi volti a garantire una componente fissa adeguata. L’obiettivo era evitare che la retribuzione fosse esclusivamente legata alla quantità di prodotto realizzato, mantenendo un equilibrio coerente con i principi che regolano il lavoro subordinato. Tuttavia, se le trasformazioni del modello produttivo e organizzativo dovessero condurre a un’evoluzione di tali principi, la coerenza andrebbe valutata rispetto al nuovo assetto regolativo che ne risulterebbe.

Definizione di parametri trasparenti per la determinazione della produttività: affinché la quota variabile della retribuzione rifletta in modo equo il contributo effettivo del lavoratore, è necessario individuare criteri oggettivi e verificabili per la misurazione dell’incremento di produttività derivante dall’IA. Tale misurazione deve evitare che il riconoscimento economico della maggiore produttività sia determinato in modo discrezionale dal datore di lavoro, garantendo invece un sistema di valutazione chiaro e condiviso tra le parti. Inoltre, è fondamentale distinguere il valore aggiunto derivante dall’uso della tecnologia dall’apporto effettivo del lavoratore, affinché la componente variabile della retribuzione non si trasformi in un mero trasferimento dei benefici dell’IA, ma sia effettivamente commisurata alla capacità del lavoratore di integrarla e valorizzarla nel proprio processo produttivo. Un simile obiettivo può essere perseguito attraverso l’individuazione di benchmark settoriali, l’introduzione di sistemi di valutazione standardizzati e il coinvolgimento della contrattazione collettiva nella definizione di parametri idonei a bilanciare le esigenze di imprese e lavoratori.

Meccanismi di perequazione aziendale: l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nei processi produttivi può determinare disparità retributive e professionali tra lavoratori, a seconda del diverso grado di automazione delle mansioni svolte. Se alcune attività possono beneficiare direttamente dell’IA, aumentando produttività e valore economico per l’impresa, altre potrebbero non trarne vantaggio immediato, rischiando di ampliare il divario interno nell’organizzazione del lavoro. Per evitare che l’IA acuisca tali disuguaglianze, potrebbero essere istituiti fondi perequativi aziendali, finanziati dagli incrementi di produttività generati dall’uso della tecnologia e destinati a riequilibrare le differenze tra i lavoratori. Tali fondi potrebbero essere impiegati per incrementare l’occupazione a fronte di una riduzione dell’orario di lavoro dei lavoratori impiegati in mansioni meno automatizzabili, integrare la retribuzione di costoro, garantendo una distribuzione più equa del valore prodotto. Un sistema di questo tipo permetterebbe di coniugare innovazione e inclusione, evitando che la transizione tecnologica si traduca in un vantaggio limitato esclusivamente ad alcune categorie di lavoratori o all’impresa.

La revisione del modello retributivo può integrarsi con la riduzione dell’orario di lavoro, in un sistema che redistribuisca sia il tempo liberato dall’IA sia i benefici economici dell’aumento di produttività, garantendo un equilibrio tra innovazione tecnologica e tutela del lavoro subordinato.

In sintesi

L’Intelligenza Artificiale sta quindi ridefinendo il rapporto tra tempo e retribuzione, scardinando il modello tradizionale di lavoro subordinato. La capacità di produrre di più in meno tempo, grazie all’automazione e al potenziamento delle competenze operative, impone un ripensamento delle logiche retributive e della disciplina dell’orario di lavoro.

Per tradurre questo cambiamento in un progresso equo e sostenibile, sarà necessario un intervento regolatorio chiaro e incisivo.

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Nella seconda parte dell’approfondimento - in pubblicazione il prossimo giovedì 27 marzo - analizzeremo il ruolo del legislatore e della contrattazione collettiva e individuale nel definire un quadro normativo capace di redistribuire equamente i benefici dell’innovazione tecnologica, evitando nuove forme di disparità sociale.

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