Civile

Ancora in vigore la tassa sui "telefonini", no al rimborso

Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 19897 depositata oggi, respingendo il ricorso di una srl, contro l'Agenzia delle Entrate, per la riforma di una decisione della Ctr Veneto del 2014

di Francesco Machina grifeo

È ancora in vigore la tassa sulle concessioni governative (TCG) per il contratto di abbonamento di utenza telefonica mobile. Non vi è dunque un diritto al rimborso da parte della società intestataria del contratto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 19897 depositata oggi, respingendo il ricorso di una srl, contro l'Agenzia delle Entrate, per la riforma di una decisione della Ctr Veneto del 2014.

La "liberalizzazione" del sistema delle comunicazioni radiomobili, e le relative "innovazioni" apportate al Codice delle comunicazioni, spiega la Corte, devono infatti essere lette come "neutre sotto il profilo dei costi pubblici, nel senso che da esse non può derivare alcun costo aggiuntivo per il bilancio dello Stato: e nella nozione di costo aggiuntivo è naturalmente inclusa una eventuale riduzione (o, addirittura, totale eliminazione) degli introiti prodotti per il bilancio pubblico da una tassa, che prima di tali innovazioni era ritenuta sicuramente applicabile". Sicché, prosegue la decisione, un'interpretazione delle norme del Dlgs n. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un'attuale inapplicabilità della tassa di concessione governativa sui telefonini prevista dal previgente sistema "sarebbe incompatibile" con la disposizione dello stesso Codice.

Inoltre, l'analisi della normativa e delle direttive porta a concludere che, da un lato, il codice delle comunicazioni non si occupa solo delle comunicazioni radio, ma anche delle comunicazioni telefoniche, disciplinando le une e le altre sul piano delle condizioni di accesso; dall'altro, il Dlgs n. 269 del 2001, non si occupa solo dei telefoni, ma anche delle radio trasmittenti, disciplinando gli uni e le altre sul piano dei requisiti tecnici necessari per la messa in commercio.

Così che «non appare giustificato sostenere sul piano normativo che la tassa di concessione governativa sui "telefonini" sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il codice delle comunicazioni non disciplini più l'uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefoni)». Pertanto, tra radio e telefoni non c'è una distinzione in relazione alla fonte regolatrice, bensì solo in relazione all'attività: nel senso che la direttiva n. 5/99 ed il Decreto n. 269 del 2001 si occupano delle specifiche tecniche sia delle radio che dei telefoni; mentre la direttiva n. 21/02 ed il Decreto n. 259 del 2003 si occupano delle reti e delle relative autorizzazioni di esercizio sia per le radio, sia per i telefoni».

Né la previsione di una tassa, correlata al contratto di abbonamento al servizio di telefonia mobile, può ritenersi in contrasto con le direttive comunitarie sulla libertà di comunicazione, e in particolare con la Direttiva 2002/20/CE (c.d. direttiva autorizzazioni), così come affermato dalla stessa Corte di Giustizia, in quanto la tassa «non ha, come base imponibile, la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica e… l'uso privato di un servizio di telefonia mobile da parte di un abbonato non presuppone la fornitura di una rete o di un servizio di comunicazione elettronica, ai sensi della direttiva autorizzazioni»

Le Direttive comunitarie, dunque, vanno interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale relativa all'applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, è assoggettato a un'autorizzazione generale o a una licenza nonché al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per sé la licenza o l'autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell'amministrazione al riguardo.

Diverso il caso delle carte prepagate. La fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento, continua la Corte, «presenta caratteristiche giuridiche e fattuali non sovrapponibili all'acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata», posto che «l'utente nel primo caso gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti di conversazione telefonica», così che detta differenza «obbiettiva tra le due situazioni esclude l'irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario, con riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost.».

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