Comunitario e Internazionale

Appalti, no alla parità di trattamento per gli operatori di Paesi terzi senza accordi con la Ue

La direttiva Ue e le disposizioni nazionali che la recepiscono non sono invocabili dinanzi alla Cgue e le autorità nazionali non possono imporre alle stazioni appaltanti il rispetto dei principi in esse contenuti

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di Paola Rossi

Gli operatori economici di un Paese terzo che non ha concluso con l’Unione un accordo internazionale in materia di appalti pubblici non possono avvalersi della parità di trattamento in detto settore. Ed è inammisibile un rinvio pregiudiziale alla Corte Ue per contrastare un’esclusione subita nll’ambito dii una gara europea. Lo ha chiarito la sentenza sulla causa C-652/22 emessa oggi dalla Corte di gustizia dell’Unione europea.

In assenza di un accordo internazionale concluso tra l’Unione europea e un paese terzo in materia di appalti pubblici, gli operatori economici di detto paese terzo non possono avvalersi delle disposizioni della direttiva 2014/25/Ue (sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali) per richiedere di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico nell’Unione su un piano di parità rispetto agli offerenti degli Stati membri o dei Paesi terzi vincolati da un siffatto accordo.
Inoltre, alla luce della competenza esclusiva dell’Unione nel settore della politica commerciale comune, alle autorità nazionali non è consentito applicare, agli operatori economici di paesi terzi che non hanno concluso un siffatto accordo internazionale con l’Unione, le disposizioni nazionali che recepiscono le norme contenute in tale direttiva.

Il caso a quo
Un ente aggiudicatore croato ha avviato una procedura di appalto pubblico per la costruzione di un’infrastruttura ferroviaria che collega due città in Croazia. La società con sede in Turchia, ha contestato la legittimità della decisione di aggiudicare l’appalto a un altro offerente. Nell’ambito di tale ricorso, il giudice nazionale competente chiede alla Corte di giustizia di precisare le circostanze in cui, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, gli enti aggiudicatori possono, in forza della pertinente direttiva in materia di appalti pubblici, chiedere agli offerenti di apportare correzioni o chiarimenti alla loro offerta iniziale.

La Corte pronunciandosi in primis sulla ricevibilità della domanda ha affermato: che l’Unione è vincolata a taluni Paesi terzi da accordi internazionali, segnatamente dall’accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio sugli appalti pubblici (Aap), i quali garantiscono, in modo reciproco e paritario, l’accesso degli operatori economici agli appalti pubblici. E secondo la direttiva applicabile all’appalto pubblico gli enti aggiudicatori degli Stati membri devono accordare agli operatori economici dei Paesi terzi che siano parti dell’accordo un trattamento non meno favorevole di quello concesso agli operatori economici dell’Unione.

Il caso della Turchia
Nel caso della Turchia un siffatto accordo non esiste con la conseguente inapplicabilità delle norme della direttiva ai suoi operatori economci, che appunto non possono partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico nell’Unione rivendicando la parità di trattamento rispetto agli offerenti degli Stati membri o dei Paesi terzi vincolati da un accordo siffatto. E non possono contestare la decisione di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi.

Conclusioni della Cgue
Infine, la Corte dichiara che la questione dell’accesso di operatori economici di Paesi terzi alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici negli Stati membri rientra in un settore nel quale l’Unione ha competenza esclusiva. Pertanto, per quanto attiene a detto accesso, gli Stati membri non sono autorizzati a legiferare o ad adottare atti giuridicamente vincolanti di portata generale, anche qualora l’Unione non abbia adottato atti applicabili in tale settore.
In mancanza di un simile atto, spetta all’ente aggiudicatore valutare, caso per caso, se debbano essere ammessi ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico operatori economici di Paesi terzi che non hanno concluso un accordo internazionale con l’Unione in materia di appalti pubblici. Qualora un siffatto operatore economico contesti lo svolgimento della procedura, il suo ricorso può essere esaminato solamente alla luce del diritto nazionale e non alla luce del diritto dell’Unione.
La Corte dichiara, a tal riguardo, che le autorità nazionali non possono esigere che le autorità aggiudicatrici applichino agli operatori economici di paesi terzi che non hanno concluso accordi internazionali con l’Unione le disposizioni nazionali che recepiscono le norme contenute nella direttiva sugli appalti pubblici.
Perciò la Cgue ha dichiarato irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale.

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