Penale

Appello contro la misura cautelare, spazio a nuove prove per la difesa

Le Sezioni unite penali, sentenza n. 15403 depositata oggi, risolvono un contrasto interpretativo ed estendono all’indagato il diritto di portare eventuali nuovi elementi a suo favore nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, tenendo ben saldo il principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva

di Francesco Machina Grifeo

Sì alla proposizione di nuove prove a difesa nel giudizio di appello cautelare. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali con la decisioe n. 15403 depositata oggi, a soluzione di un contrasto giurisprudenziale, chiarendo tuttavia che restano fermi i principi del rispetto del contraddittorio e quello devolutivo.

Il caso era quello di un uomo a cui era stata applicata la misura cautelare del carcere a seguito della contestazione del reato di associazione mafiosa che chiedeva di prendere in considerare le successive dichiarazioni dell’operante della polizia giudiziaria secondo le quali nel corso dell’attività di captazione non era emersa alcuna intercettazione con gli altri esponenti del sodalizio mafioso. Il Tribunale di Catanzaro aveva però escluso “in forza del principio devolutivo” di di poter considerare “gli elementi nuovi e sopravvenuti che la difesa ha prodotto all’udienza di discussione”, successivamente dunque all’adozione del provvedimento appellato. Contro questa decisione la difesa ha proposto ricorso.

La Prima Sezione penale, rilevato un contrasto ha rimesso la questione alle Sezioni unite. Secondo un primo orientamento, il giudice dell’appello cautelare è vincolato dall’effetto devolutivo dell’impugnazione. Pertanto, la prospettazione di una situazione nuova più favorevole all’appellante deve costituire oggetto di una nuova istanza. Indirizzo, scrive la Corte, coerente con la posizione delle S.U. Donelli (n. 18339/2004) che hanno riconosciuto solo al Pm che agisce contro il rigetto della misura la possibilità di introdurre elementi nuovi anche sopravvenuti (ed all’indagato di contestarli). Secondo un opposto orientamento, invece, l’appello implica una valutazione complessiva della prognosi cautelare e pertanto attribuisce al giudice dell’impugnazione i medesimi poteri spettanti al primo giudice, compreso quello di decidere, sia pure nell’ambito dei motivi prospettati, su elementi diversi e successivi rispetto a quelli posti a base dell’ordinanza impugnata.

Per le Sezioni Unite, se la “scarna disciplina” della materia non consente di definire in modo autonomo i poteri cognitivi del giudice dell’appello, è d’obbligo guardare ai principi che governano le misure cautelari. E dunque all’articolo 13 della Costituzione, sulla inviolabilità della libertà personale, e all’articolo 27, principio di non colpevolezza. Considerato che i provvedimenti cautelari sono per natura provvisori, solo così potendosi conciliare col principio di non colpevolezza, e che “vengono adottati prescindendo da un accertamento pieno ed in contradditorio degli elementi che li giustificano”, è evidente che la “funzione di garanzia assolta dalla menzionata presunzione verrebbe irrimediabilmente compromessa dalla previsione di meccanismi di fissità e non revocabilità delle cautele qualora, nel corso della loro esecuzione, dovessero mutare le condizioni che ne hanno legittimato l’adozione”.

Sul punto, la Corte costituzionale ha sottolineato che il sistema cautelare deve “corrispondere alla logica del costante adeguamento dello status libertatis dell’imputato alle risultanze del procedimento” ( n. 321 del 2001). E le Sezioni Unite che gli strumenti procedurali per la verifica della perdurante sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura si fondano sulla “immanente esigenza di evitare che possa registrarsi nel corso dell’esecuzione della misura uno scollamento della situazione cautelare da quella reale”.

Nella logica tracciata dai suddetti principi, prosegue la decisione, “appare quindi irragionevole ritenere che al giudice dell’appello cautelare sia preclusa la possibilità di acquisire gli elementi probatori eventualmente prodotti dalle parti ad integrazione della piattaforma cognitiva sulla base della quale è stato emesso il provvedimento impugnato”.

Inoltre, “la facoltà di produrre elementi probatori inediti deve essere riconosciuta non solo all’imputato, ma anche al pubblico ministero”. Il favor libertatis alla base del ragionamento appena svolto infatti “non è sufficiente per inibire alla parte pubblica la possibilità di produrre i nova probatori”. Del resto, anche il pubblico ministero potrebbe produrre elementi pro libertate. Inoltre, come già osservato dalle Sezioni Unite nella sentenza Donelli, appare irragionevole configurare un contraddittorio camerale “dimezzato”, nel quale solo l’accusa risulti «vincolata all’immutabilità dello ’stato degli atti’ preesistenti». Al Pm non può essere negato il diritto di presentare materiale informativo inedito a confutazione dei nova prodotti dalla difesa, anche considerato che proprio la sentenza Donelli gli ha riconosciuto il diritto di sottoporre a sua volta al giudice i nuovi elementi di prova a sostegno dell’appello da lui proposto avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare.

In conclusione la Suprema corte ha affermato il seguente principio: “Nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen., possono essere prodotti dalle parti elementi probatori ”nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto d’appello”.

Il ricorso è stato tuttavia rigettato, nonostante il ragionamento del Tribunale contrasti con i principi appena affermati, in quanto i nova probatori sono stati presentati oltre il termine (articolo 127, comma 2).

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