Famiglia

Assegno divorzile: una stabile convivenza di fatto non determina la perdita automatica e integrale del diritto

Per le sezioni Unite accerta la convivenza di fatto, il coniuge debole mantiene il beneficio in funzione esclusivamente compensativa

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di Valeria Cianciolo

L’articolo 5, comma 6, legge 1 dicembre 1970, n. 898 indica i criteri per il trattamento economico del coniuge, dopo il divorzio, mentre l’articolo 5 comma 1, prevede che il diritto all’assegno divorzile cessi solo se, dopo il divorzio, l’ex coniuge contragga nuove nozze perché, in tal caso, egli acquista, con il successivo matrimonio, il diritto ad essere mantenuto dal nuovo coniuge.

  L’assegno divorzile: i mutamenti del contesto sociale e la giurisprudenza

Davanti alla chiarezza del disposto normativo e dinanzi al mutare del costume sociale che vede un numero sempre più elevato di convivenze, la giurisprudenza ha dato una lettura certamente forzata degli istituti: è certo che una convivenza, per quanto stabile, non possa essere equiparata ad un nuovo matrimonio.

L’orientamento prevalente fino ad oggi ed inaugurato nel 2015 , ha ritenuto comunque, che la famiglia di fatto potesse certamente assumere rilevanza qualora incidesse sulle condizioni reddituali del coniuge più debole, il quale, dunque, perdeva o vedeva ridotto il proprio diritto all’assegno divorzile, se riceveva uno stabile contributo al mantenimento dal proprio nuovo convivente.

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve oggi attribuirsi, dopo la sentenza del 2018, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

 

Il rinvio della questione alle sezioni Unite

Al principio della solidarietà post matrimoniale ha dato impulso l’ordinanza del 17 dicembre 2020, n. 28995, con la quale la prima sezione civile della Suprema corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione alle sezioni Unite, della questione di massima di particolare importanza sul se l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, faccia venire meno in maniera automatica il diritto all’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, ovvero al contrario se ne possa affermare la perdurante vigenza, valorizzando il contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, nel diverso contesto sociale di riferimento.

 

La risposta delle sezioni Unite con la decisione n. 32198

Con la sentenza  5 novembre 2021 n. 32198, gli Ermellini hanno pronunciato il seguente principio di diritto al quale il giudice di merito dovrà attenersi: “L instaurazione da parte dell ex coniuge di una stabile convivenza di fatto giudizialmente accertata incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonch é sulla quantificazione del suo ammontare in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche dell attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell ex coniuge in funzione esclusivamente compensativo.

A tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; dell eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell apporto alla realizzazione del patrimonio familiare personale dell ex coniuge.

Tale assegno anche temporaneo su accordo delle parti non è ancorato al tenore di vita endo matrimoniale nella nuova condizione di vita dell ex coniuge ma deve essere quantificata la luce dei principi su esposti, tenuto conto, presi dalla durata del matrimonio .

 

Il caso all’esame dei giudici

Il tribunale dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Tizio e Caia affidando i figli minori alla moglie e ponendo a carico del marito, oltre al contributo per il mantenimento dei figli, l obbligo di versare all ex coniuge un assegno divorzile.

La corte d appello riformava parzialmente la decisione di primo grado, escludendo l obbligo in capo all ex marito di corrispondere alla moglie un assegno divorzile , avendo costei instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno da cui aveva avuto una figlia.

La moglie impugnava la sentenza articolando quattro motivi di ricorso , uno dei quali, il secondo, verteva sulla violazione e falsa applicazione dell articolo 5 comma 10 della legge 1° dicembre 1970 n. 898 nella parte in cui la corte territoriale affermava che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi senza alcuna valutazione discrezionale del giudice l immediata soppressione dell assegno divorzile.”

Il ricorso assegnato alla prima sezione civile è stato rimesso dal primo presidente al fine di assegnarlo alle sezioni Unite, avendo il collegio rimettente segnalato la presenza di una questione di massima di particolare importanza proprio su questo aspetto, ossia, la necessità di stabilire se instaurata una convivenza di fatto tra una persona divorziata e un terzo, eseguito un accertamento pieno sulla stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto all assegno divorzile di chi abbia intrapreso una nuova convivenza stabile, ove la sua posizione economica sia sperequato rispetto a quella del suo ex coniuge, si estingua comunque, per un meccanismo ispirato all automatismo nella parte in cui prescinde dal vagliare le finalità proprie dell assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative.

Queste le parole dell ordinanza rimettente che in quel caso sollecitava la corte a rimeditare l oriente mento recentemente espresso al quale si è uniformata la corte d appello.

Le Sezioni Unite, tracciano l’evoluzione giurisprudenziale sul tema riassumendo i tre orientamenti che hanno segnato il tema.

Secondo un orientamento più risalente, il diritto all assegno non cessa automaticamente all instaurarsi di una nuova convivenza, ma può essere eventualmente rimodulato dal giudice nel suo ammontare.

Questo orientamento giurisprudenziale, avallato anche da parte della dottrina, riconosce il richiamo alla necessità di tenere conto del miglioramento delle condizioni economiche del coniuge beneficiario, in virtù della convivenza, ma anche della necessità di considerare la mancanza di garanzie che esso si protragga nel futuro.

Secondo un altro orientamento, il diritto all assegno divorzile rimane sospeso per tutta la durata della convivenza, entrando in una sorta di quiescenza, ma può riprendere vigore ove venga a cessare la convivenza.

Le sentenze più recenti - la prima che ha inaugurato quest orientamento è la n. 6855 del 2015 - afferma che il diritto stesso all assegno, in seguito all instaurarsi di una famiglia di fatto, si estingue automaticamente per l intero cessando per sempre e non potendo rivivere neppure in caso di cessazione della convivenza. Quest orientamento fa leva sulla valorizzazione del principio di autoresponsabilità essendo la convivenza fondato su una scelta libera e consapevole.

E’ certamente questo un orientamento più aderente allo spirito dei tempi e al nuovo contesto sociale, sebbene parte della dottrina ha rilevato che tale orientamento non fosse rispettoso della posizione del coniuge più debole che ha sacrificato il proprio percorso professionale a favore della famiglia.

Le sezioni Unite ritengono che questa posizione non sia condivisibile per i seguenti motivi.

Nulla dice la legge sul divorzio e nulla dice la legge n. 76 del 2016 in tema di unioni civili e convivenze.

Non si può neppure d altro canto, consentire il ricorso all articolo 12 delle preleggi applicando analogicamente alla convivenza la normativa prevista esclusivamente per il matrimonio dalla legge sul divorzio. E’ questo un principio espresso più volte dagli Ermellini che in tema di formazione di una nuova famiglia di fatto da parte dell’avente diritto all’assegno divorzile di cui all’articoli 5, 6 comma, legge n. 898/1970, non è applicabile analogicamente il successivo 10 comma, che sancisce la cessazione ipso iure dell’obbligo di corrispondere l’assegno al passaggio a nuove nozze del coniuge al quale l’assegno deve essere erogato (Cassazione civile, 28 giugno 2007, n. 14921; Cassazione civile, 26 gennaio 2006, n. 1546; Cassazione civile, 9 aprile 2003, n. 5560).

 

La questione della convivenza

Negli ultimi anni, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una famiglia di fatto, recidendo ogni legame con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo. Tale orientamento è stato inaugurato con la Cassazione civile, sezione I, 3 aprile 2015, n. 6855, (citata dalle Sezioni Unite in esame) e al quale si è uniformata la giurisprudenza successiva (cfr. Cassazione civ. sezione VI-1, 8 febbraio 2016, n. 2466; Cassazione civile, sezione VI-1, 12 novembre 2019, n. 29317), che discostandosi dal filone giurisprudenziale di legittimità - che parlava di quiescenza dell’assegno divorzile nel corso della convivenza - afferma, viceversa, che, dando vita a una relazione more uxorio stabile, il coniuge perde per sempre il diritto al mantenimento e l’altro coniuge non può più essere dichiarato tenuto alla corresponsione degli emolumenti, neppure dopo l’eventuale crisi della famiglia di fatto.

Anche in materia di separazione personale, la giurisprudenza di legittimità è pervenuta al medesimo risultato, affermando che la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi "more uxorio" siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l'assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce "in melius" sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati.

La ricerca, la scelta ed il concreto perseguimento di un diverso assetto di vita familiare, da parte del coniuge che pur abbia conseguito il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento, fa scaturire un riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendola venir meno.

Né si alleghi la possibilità che i coniugi non divorziati possano tornare a ricomporre la propria vita a seguito di un ripensamento, poichè, anche in un tal caso, l’assegno non rivivrebbe, ma tornerebbe a operare il precedente assetto di vita, caratterizzato dalla ripresa della convivenza, giammai tornerebbe a vivere il contributo che era stato a suo tempo assegnato dal giudice . (Cassazione civile, sez. I, sent. 19 dicembre 2018, n. 32871).

Affermare che anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto a opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, indipendentemente dalla "risoluzione del rapporto coniugale", vi sia una rottura tra il preesistente "tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale" ed il nuovo assetto familiare, è un’interpretazione forte che assimila la separazione al divorzio.

E’ questo probabilmente l’effetto della giurisprudenza creativa conseguente alla novellazione dell’articolo 3, n. 2, lettera b), legge n. 898/1970 a opera dell’articolo 1, comma 1, legge 6 maggio 2015, n. 55, sul cosiddetto “divorzio breve”, e dell’introduzione del regime delle unioni civili (per cui l’ articolo 1 , comma 24, legge n. 76/2016 prevede solo lo scioglimento immediato) e che vuole anticipare la normativa nazionale prevedendo sviluppi che, in accordo con le legislazioni di altri Paesi europei, potrebbero condurre alla definitiva abolizione della separazione, vista ormai come una breve anticamera del divorzio.

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