Comunitario e Internazionale

Atleti, lo Stato che premia chi vince le gare non può discriminare i disabili

Lo ha chiarito la Corte di Strasburgo, affermando principi validi in ogni caso di applicazione della Convenzione, con la sentenza del 25 gennaio, Negovanovic e altri contro Serbia.

di Marina Castellaneta

Gli atleti disabili non devono essere discriminati. E questo vale anche per i premi. Se uno Stato prevede che siano corrisposti riconoscimenti economici o altri benefit per gli sportivi che vincono alcune competizioni non possono poi escludere gli atleti con disabilità. Se lo fanno, violano la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e il diritto a non essere discriminati. Lo ha chiarito la Corte di Strasburgo, affermando principi validi in ogni caso di applicazione della Convenzione, con la sentenza del 25 gennaio, Negovanovic e altri contro Serbia.

A rivolgersi alla Corte sono stati alcuni giocatori di scacchi non vedenti che avevano vinto importanti tornei internazionali, inclusa l’Olimpiade degli scacchi e chiesto di ricevere i premi previsti per gli atleti non disabili dal ministero dello sport. A fronte del rifiuto delle autorità serbe, i ricorrenti si sono rivolti a Strasburgo che ha accolto il ricorso.

È vero - scrive la Corte europea - che gli Stati sono liberi di premiare i vincitori di importanti competizioni sportive, ma non devono discriminare alcuni atleti solo perché disabili anche perché il prestigio di una competizione sportiva non può dipendere dal fatto che sia praticato da atleti con o senza disabilità e lo Stato non può prevedere premi differenziati solo per la circostanza che un atleta sia disabile. E questo – scrive la Corte – vale per ogni sport. Così, l’esclusione di un atleta non vedente dai premi concessi ad altri vincitori di competizioni sportive internazionali e nazionali, non riservate ai disabili, è una discriminazione vietata dalla Convenzione europea e, in particolare, dall’articolo 1 del Protocollo n. 12. Né lo Stato in causa ha spiegato le ragioni di un diverso trattamento tra atleti privi di disabilità e atleti non vedenti. Il decreto che prevedeva i premi per i vincitori di alcune gare, d’altra parte, non trattava diversamente gli atleti che avevano vinto giochi olimpici o le para-olimpiadi. Invece, per i giocatori di scacchi era previsto un differente trattamento per i non vedenti, con la conseguenza che la Serbia è andata al di là del margine di apprezzamento concesso e ha trattato differentemente individui che si trovano in una situazione analoga. La Convenzione - precisa la Corte europea - non impone di prevedere un riconoscimento economico per meriti sportivi ma, se uno Stato adotta una legislazione che lo prevede, non può trattare in modo differente persone che si trovavano in una situazione analoga. La Corte riconosce che uno Stato può limitare i premi ad alcune competizioni ma, se adotta un diverso trattamento deve dimostrare che i premi vinti dai ricorrenti con disabilità siano meno significativi a livello internazionale di medaglie simili attribuite a giocatori di scacchi vedenti.

Inoltre, per quanto riguarda il contributo dello sport allo “sviluppo e all’affermazione” della reputazione del Paese, la parità di trattamento tra vedenti e non vedenti sarebbe servita solo a migliorare la reputazione del Paese all’estero e a promuovere l’inclusione all’interno dello Stato. Respinta anche la giustificazione fondata su questioni di budget perché sicuramente l’aggiunta dei giocatori di scacchi non vedenti non avrebbe minato la stabilità finanziaria del Paese. Così, la Corte ha ritenuto violato l’articolo 1 del Protocollo n. 12, condannando la Serbia a versare, per i danni non patrimoniali, 4.500 euro e, per i danni patrimoniali, a concedere le prestazioni finanziarie e/o i premi maturati e quelli futuri analoghi a quelli previsti per i giocatori privi di disabilità.

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