Penale

Autoriciclaggio: provenienza delittuosa anche da reati di falso, se fonte diretta dell'utilità economica oggetto di dissimulazione

La sentenza n. 7178 risolve positivamente la questione attinente alla corretta applicazione del delitto

di Aldo Natalini

Self-laundering e reati contro la fede pubblica: anche il delitto di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici può integrare il reato presupposto della fattispecie di autoriciclaggio di cui all’articolo 648-ter.1 del Cp, ove sia fonte diretta dell’utilità economica oggetto dell’operazione di dissimulazione.

Così la sentenza n. 7178/2021, depositata il 24 febbraio scorso, con cui i Supremi giudici della seconda Sezione penale, in accoglimento del ricorso per cassazione del Pm, hanno annullato con rinvio l’ordinanza del locale Tribunale del riesame che aveva respinto l’appello del magistrato inquirente avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misure custodiali a carico di un amministratore giudiziario indagato, tra l’altro, per i reati di concorso in falsità ideologica su atti pubblici ed autoriciclaggio.

 

La vicenda di specie

Il Gip, nel respingere l’invocata cautela personale, aveva escluso – illogicamente secondo il Pm ricorrente e secondo la stessa Cassazione – che le somme dallo stesso ottenute in forza di falsi decreti di liquidazione dei compensi, predisposti materialmente dallo stesso indagato e sottoscritti da un solo magistrato (all’insaputa degli altri membri del Collegio), potessero costituire provento delcontestato delitto presupposto di autoriciclaggio.

Il giudice della cautela si era limitato a fare riferimento ad utilità economiche – nella specie riconducibili alla categoria del profitto – derivanti, quale delitto presupposto, dalla sola corruzione, ipotesi di reato però esclusa in ragione dell’effettività delle prestazioni svolte dall’indagato quale amministratore giudiziario.

Quanto al Tribunale del riesame, aveva a sua volta escluso l’elemento soggettivo del reato di concorso in falso ideologico in atti pubblici in capo al prevenuto, sul rilievo che questi avrebbe potuto pensare che il Collegio, nella sua interezza, fosse stato informato del quantum che gli veniva liquidato.

 

Il dictum: falso ideologico quale reato presupposto dell’autoriciclaggio

La sentenza in commento risolve positivamente la questione – attinente alla corretta applicazione del delitto di autoriciclaggio – relativa alla possibilità di ricondurre il denaro oggetto di condotte di dissimulazione al delitto di falso ideologico in atto pubblico.

L’inedito principio di diritto oggi enunciato è coerente con la latitudine della fattispecie di self-laudering, reato a forma libera che suppone – ai fini delle tipizzate condotte di ostacolo della provenienza delittuosa (impiego, sostituzione o trasferimento in attività economico-finanziarie di denaro o altre utilità) – la previa commissione di (qualsivoglia) delitto non colposo, rientrando in tale (ampia) categoria anche i delitti contro la fede pubblica (nel senso che il delitto non colposo presupposto non deve essere accertato con sentenza passata in giudicato, essendo sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza vedi Cassazione, sezione VI penale, n. 14800/2020; sezione II penale, n. 42052/2019).

Per la Cassazione la falsità nella specie pertiene proprio a provvedimenti che, in quanto decreti di pagamento, costituiscono la fonte diretta dell’utilità economica percepita dall’amministratore giudiziario poi reimpiegata – in tesi d’accusa – nelle operazioni di autoriciclaggio. «Il quantum ottenuto – si legge nell’odierna decisione – è di diretta derivazione causale col reato, in quanto è solo in forza del decreto di pagamento che il compenso viene erogato (e, dunque, generato) e ne ha stretta affinità poiché costituisce l’oggetto esclusivo dell’atto falso».

Contrariamente a quanto argomentato dal Gip, la circostanza che tale importo, a monte, rappresenti il corrispettivo di una prestazione effettivamente svolta, anche se trova la sua genesi nell’illecito corruttivo, non è determinante – ad avviso della Corte regolatrice – ai fini dell’esclusione della gravità indiziaria, in quanto «l’incameramento della somma da parte di chi ne aveva diritto (non facendosi questioni sulla spettanza del relativo importo) è avvenuto mediante la commissione di un altro e differente delitto rispetto a quello inziale da cui la prestazione resa causalmente si discostava».

Quanto all’esclusione – rilevata dai giudici de libertate – del concorso ex articolo 110 del Cp nel delitto presupposto di falso, pur dovendosi fare riferimento, ai fini del giudizio di gravità indiziaria, anche ad aspetti attinenti all’elemento soggettivo del reato, trattandosi di presupposti della cautela personale, ribadisce la Cassazione come occorra di tale mancanza il giudice di merito deve dare atto con puntuale motivazione, avuto particolare riguardo al tema di accusa. Nella specie, la falsità contestata non riguardava il contenuto dei decreti di liquidazione, cui occorreva dare una parvenza di legalità, ma le forme di emissione dei provvedimenti stessi che sarebbero stati sottoscritti dal singolo magistrato all’insaputa degli altri membri del Collegio ed al cospetto dell’indagato. Ai fini dell’esclusione del dolo tale circostanza richiedeva – stigmatizzano gli “Ermellini”, censurando l’impugnata ordinanza del Riesame – una motivazione che indicasse gli elementi in forza dei quali era verosimile che quel provvedimento non fosse stato assunto in spregio del necessario connotato di collegialità che avrebbe postulato; occorreva indicare le ragioni per le quali non poteva escludersi che l’indagato avesse fatto affidamento sulla compartecipazione dell’intero collegio alle determinazioni di sua spettanza, «mediante un espresso confronto con le di prova declinate negli atti di indagine e poste a fondamento dal Pm per asseverare la sussistenza del previo concerto in ordine al provvedimento di liquidazione sottoscritto dal magistrato come titolare di un potere monocratico che non le spettava e che non poteva non constare all’imputato».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©