Lavoro

Avvocati, contributi alla gestione separata Inps: i chiarimenti della Cassazione sulla prescrizione

La Quarta sezione civile, sentenza n. 32682 depositata oggi, afferma due principi di diritto

di Francesco Machina Grifeo

Arrivano i chiarimenti della Cassazione sulla prescrizione dei contributi dovuti dai professionisti, nel caso da un legale, alla Gestione separata dell'Inps. La Quarta sezione civile, sentenza n. 32682 depositata oggi, nell'accogliere il ricorso dell'Istituto di previdenza afferma due principi di diritto.

Per prima cosa, la Corte conferma che la prescrizione dei debiti contributivi decorre «dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa». Nel caso specifico, dunque, come rilevato dall'Inps, la prescrizione non decorreva dal 16 giugno ma dal 6 luglio 2010, in quanto trovava applicazione il Dpcm 10 giugno 2010 (la cui emanazione è prevista dal Dlgs 241/1997) che, per tutti i contribuenti, aveva differito il termine per il versamento.
Sia pure per pochi giorni, dunque, le pretese contributive azionate il 1° luglio 2015 non rientravano nella prevista prescrizione quinquennale. La sentenza impugnata, invece, nel far decorrere la prescrizione dal 16 giugno 2010, ha trascurato di tener conto del differimento.

In questo senso, l'individuazione del dies a quo della prescrizione "non soltanto ha priorità logica rispetto al tema della sospensione, posto dall'unico motivo di ricorso, ma si rivela anche dirimente". Infatti, la considerazione del dies a quo sancito dalla legge (6 luglio 2010) "renderebbe efficace l'atto interruttivo ricevuto il 1° luglio 2015 e potenzialmente superflua quella disamina sulla sospensione che il motivo di ricorso presuppone". A questo punto però, prosegue la decisione, la questione nodale diventa se la mancata impugnazione delle statuizioni adottate dalla Corte di merito determini o meno il formarsi del giudicato, e dunque sia idoneo a precludere il rilievo d'ufficio.

Ebbene, precisa la Corte, la parte non impugnata d'una sentenza ha il crisma del giudicato "allorché si riscontrino due condizioni, l'una positiva e l'altra negativa: essa si deve fondare su presupposti di fatto e di diritto diversi e autonomi rispetto alla parte impugnata e alla parte impugnata non dev'essere legata da alcun rapporto di pregiudizialità o di consequenzialità". E, prosegue la decisione, la sospensione del termine di prescrizione e la corretta identificazione del termine iniziale di decorrenza "non rappresentano profili distinti, avulsi l'uno dall'altro".

La sospensione della prescrizione, infatti, non può che essere valutata rispetto a un termine correttamente individuato nel suo esordio. Pertanto, l'impugnazione del profilo consequenziale della sospensione "mantiene ancora viva e controversa anche la questione concernente l'identificazione del dies a quo e anche su tale tema si riespande la cognizione di questa Corte, chiamata a individuare l'esatto diritto applicabile alla luce degli elementi ritualmente allegati".

Da qui l'affermazione del primo principio di diritto: «Una volta che la sentenza d'appello sia stata impugnata per violazione della disciplina sulla sospensione della prescrizione (nella specie, con riguardo all'occultamento doloso del debito contributivo, ai sensi dell'art. 2941, primo comma, n. 8, cod. civ.), l'intera fattispecie della prescrizione, anche con riguardo alla decorrenza del dies a quo, rimane sub iudice e rientra, pertanto, nei poteri del giudice di legittimità valutare d'ufficio, sulla scorta degli elementi ritualmente acquisiti, la corretta individuazione del termine iniziale della prescrizione, in quanto aspetto logicamente preliminare rispetto alla sospensione dedotta con il ricorso».

E poi con specifico riguardo al giudicato interno, col secondo principio, la Corte chiarisce che: "La mancata proposizione di specifiche censure non determina la formazione del giudicato interno sul dies a quo della prescrizione dei contributi, differita dal d.P.C.m. 10 giugno 2010, in applicazione dell'art. 12, comma 5, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Il giudicato, destinato a formarsi su un'unità minima di decisione che ricollega a un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto, investe la statuizione che dichiara prescritto un diritto e non le mere affermazioni, inidonee a costituire una decisione autonoma, sui singoli elementi della fattispecie estintiva, come la decorrenza del dies a quo».

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