Lavoro

Avvocati, il reddito esiguo non esonera dall'iscrizione alla gestione separata

La Cassazione, ordinanza n. 11642 dell'11 aprile scorso, chiarisce che la scelta della occasionalità deve essere stata fatta a monte

di Francesco Machina Grifeo

Per l'avvocato l'assenza dell'obbligo di iscrizione alla gestione separata non può essere desunta solo dall'entità esigua del reddito prodotto ma si deve sempre accertare - a monte, dunque come scelta iniziale e non soltanto con riguardo ai proventi realizzati - se l'attività sia stata svolta in modo abituale o occasionale. Inoltre, ai fini della prescrizione dei contributi dovuti dai professionisti alla gestione separata, qualora il differimento del termine sia stato previsto in forma onerosa, resta valido il primo termine. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con le ordinanze nn. 11642 e 11645 dell'11 aprile scorso, accogliendo nel primo caso il ricorso dell'Inps e nel secondo quella del professionista.

Con riguardo alla prima questione, decisione n. 11642/2022, la Corte d'Appello di Roma aveva accolto l'impugnazione proposta dall'avvocato ed annullato due avvisi di addebito (di 281,68 e di 1051,66 euro) per contributi relativi al 2010 e 2011, derivanti dall'iscrizione d'ufficio nella gestione separata (ex art. 2, comma 26, legge n. 335/1995), in relazione all'attività libero professionale svolta dal legale iscritto all'albo ma non alla relativa Cassa. A fondamento della decisione la Corte aveva ritenuto che «a prescindere dalla natura occasionale od abituale dell'esercizio della professione, il non superamento di detta soglia di reddito di euro 5000 annui costituisce ragione di esonero dalla iscrizione alla gestione separata».

Per la Suprema corte, invece, "nell'intento del legislatore", l'obbligatorietà dell'iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento. Dirimente è, dunque, il modo in cui è svolta l'attività libero-professionale, se in forma abituale o meno. Mentre deve escludersi che - come invece preteso dall'Istituto ricorrente - gli artt. 61 e 69-bis, Dlgs n. 276/2003 possano trapassare nel campo della presunzione legale. Si tratta, precisa l'ordinanza, di disposizioni che operano l'una nell'ambito dei rapporti tra le parti contraenti e l'altra nei confronti dell'Erario, «ma dalle quali non è possibile desumere alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un'attività libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o elenco debba necessariamente qualificarsi come "abituale" ai fini dell'iscrizione alla Gestione separata».

Una volta chiarito, prosegue la Corte, che il requisito dell'abitualità deve essere accertato in punto di fatto (valorizzando le presunzioni ricavabili ad esempio dall'iscrizione all'albo, dall'accensione della partita Iva o dall'organizzazione materiale predisposta dal professionista), «la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a € 5.000,00 può semmai rilevare quale indizio da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo, per escludere che, in concreto, l'attività sia stata svolta con carattere di abitualità».

Fermo restando, aggiunge la Cassazione, che l'abitualità di cui si discute «deve essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall'ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell'iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui all'art. 44, Dl n. 269/2003, che invece, come detto, rileva ai fini dell'assoggettamento a contribuzione di attività libero-professionali svolte in forma occasionale». Ha errato dunque la Corte territoriale laddove ha desunto «l'assenza dell'obbligo di iscrizione alla gestione separata solo in relazione al contenuto reddito prodotto, senza accertare - a monte - se l'attività fosse abituale o occasionale».

La decisione n. 11645/2022 invece riguarda la prescrizione. La Corte d'appello dell'Aquila, nel 2021, aveva respinto la domanda del professionista volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità dell'iscrizione d'ufficio del ricorrente alla Gestione separata Inps, in relazione all'attività professionale svolta nell'anno.

La Corte territoriale aveva ritenuto insussistente la prescrizione, dando rilievo al Dpcm 13/6/2013 con il quale era stato prorogato al giorno all'8/7/2013 il termine per il versamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, già precedentemente fissato al 16 giugno, ma con facoltà per il contribuente di eseguire il versamento sino al 20 agosto, maggiorando le somme da versare dello 0,40% a titolo di interesse corrispettivo, sicché la lettera dell'Inps datata 12/7/2018 e ricevuta dalla parte appellata il 31/7/ 2018 doveva considerarsi valido atto interruttivo della prescrizione quinquennale.

La Cassazione ricorda che la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata «decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi», sicché assume rilievo anche il differimento dei termini stessi. Tuttavia precisa che nel caso in cui la dilazione sia onerosa, il termine fissato per l'adempimento non costituisce un termine alternativo rispetto al primo, bensì una «facilitazione onerosa di pagamento di un debito già maturo è scaduto». E nel caso in esame il differimento al 20/08/2013 è stato previsto in forma onerosa, «sicché è al primo termine che occorre aver riguardo per stabilire il dies a quo della prescrizione e la idoneità della richiesta di pagamento ad interrompere la prescrizione».

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