Professione e Mercato

Avvocati, sì alla cancellazione dall’albo durante il procedimento disciplinare

La Consulta, sentenza numero 70 depositata oggi, ha stabilito che la previsione di senso contrario contenuta nell’articolo 57 della legge professionale (247/2012) è incostituzionale

È costituzionalmente illegittima la disposizione della legge forense che prevede che durante il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato non può essere deliberata la sua cancellazione dall’albo, richiesta dallo stesso professionista. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza numero 70, depositata oggi, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 57 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).

La questione era stata sollevata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nell’ambito di un giudizio concernente il rigetto dell’istanza di cancellazione dall’albo, avanzata da un avvocato in considerazione delle gravi patologie che gli impedivano di svolgere la professione, rigetto motivato dall’Ordine forense in ragione della pendenza di diversi procedimenti disciplinari a suo carico.

La sentenza ha osservato che il divieto di cancellazione dall’albo, pur mirando a scongiurare il rischio che, con la rinuncia all’iscrizione, l’iniziativa disciplinare possa essere vanificata, comporta che, per l’intera durata del procedimento, l’avvocato non possa esercitare i diritti e le libertà di rango costituzionale – come la libertà di revocare l’adesione al gruppo professionale, il diritto di fruire di determinate prestazioni previdenziali o assistenziali per le quali la legge richiede la cancellazione, e la libertà di intraprendere una diversa attività lavorativa – che si esplicano attraverso la fuoriuscita dalla compagine professionale o che, comunque, la presuppongono.

Secondo la Consulta, quindi, il divieto contrasta, anzitutto, con l’articolo 2 della Costituzione, in quanto restringe, sia pure temporaneamente, la libertà del professionista di autodeterminarsi in ordine alla sua permanenza nell’Ordine, impedendogli di rinunciare all’iscrizione anche quando versi nelle condizioni per accedere alle prestazioni previdenziali o assistenziali, per la cui fruizione la legge richiede l’avvenuta cancellazione dall’albo.

La norma in esame confligge anche con l’articolo 4 della Costituzione, in quanto incide in maniera sproporzionata sulla libertà di lavoro dell’avvocato che richieda di cancellarsi dall’albo avendo intenzione di cessare l’esercizio della professione, ed eventualmente intraprendere una diversa attività lavorativa al cui svolgimento sia di ostacolo l’appartenenza all’ordine.

La libertà, anche negativa, di lavoro viene, infatti, esposta a un sacrificio la cui durata non è prevedibile, non essendo prescritto un termine per la conclusione del procedimento disciplinare, né, tanto meno, per la definizione della eventuale fase giurisdizionale che a esso consegua.

È pur vero – ha argomentato la Corte – che la disciplina in questione è funzionale al proficuo esercizio dell’azione disciplinare, il quale, a sua volta, è posto a presidio di interessi che «trascendono la dimensione interna della categoria professionale per attingere valori primari della persona».

Non di meno, tra le misure idonee a realizzare tale, pur legittimo, fine il divieto di cancellazione dall’albo non rappresenta la meno restrittiva possibile dei diritti fondamentali in potenziale tensione, così ponendosi in contrasto anche con l’articolo 3 della Costituzione.

La sentenza ha, infine, evidenziato che l’ablazione del divieto determina un vuoto normativo al quale il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può porre rimedio attraverso un meccanismo normativo meno restrittivo della libertà dell’avvocato, ma, comunque, idoneo a garantire la conservazione dell’azione disciplinare, per lo meno per il caso in cui il professionista incolpato, dopo avere ottenuto la cancellazione in pendenza di un procedimento disciplinare, chieda di essere nuovamente iscritto all’albo.

In attesa di un intervento legislativo, ha osservato la sentenza, la rinuncia all’iscrizione all’albo comporta l’estinzione del procedimento disciplinare intrapreso.

Tuttavia, ha sottolineato la Corte, l’estinzione del procedimento non fa venir meno la pretesa sanzionatoria nascente dal fatto contestato, così che, nel caso in cui il professionista, successivamente alla cancellazione, chieda di essere reiscritto, la stessa azione disciplinare, ove non ancora prescritta, «può – e anzi deve – essere nuovamente esercitata» dagli organi competenti in relazione agli stessi fatti che avevano determinato l’attivazione dell’originario procedimento disciplinare.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale, infine, è estesa (ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 17, comma 16, della legge n. 247 del 2012, il cui contenuto normativo riproduce quello dell’art. 57 della stessa legge.

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