Bancari, licenziamento disciplinare anche senza danni per il cliente
La Cassazione, ordinanza n. 23318 depositata oggi, afferma che nella valutazione della condotta è “fuorviante” adottare il principio di offensività di matrice penalistica
Massimo rigore della Suprema corte nella valutazione delle condotte dei dipendenti degli istituti bancari alla luce dei particolari obblighi di diligenza e di fedeltà imposti dal pubblico affidamento. Per la Sezione lavoro, ordinanza n. 23318 depositata oggi, che ha accolto parzialmente il ricorso di Monte Paschi di Siena contra la decisione della Corte di appello di Catanzaro che aveva stabilito la reintegra di un direttore di filiale licenziato nel 2017 per avere, tra l’altro, assegnato, per motivi di budget, una carta di credito non richiesta a una cliente (classe 1925), in quanto la condotta risultava “del tutto scevra di offensività e, come tale, priva di rilievo disciplinare”.
La Suprema corte ricorda che il comportamento scorretto del dipendente di una banca, a prescindere dal verificarsi di un effettivo danno di natura patrimoniale, può comunque “ledere l’affidamento che non solo il datore di lavoro ma anche il pubblico devono riporre nella lealtà e correttezza del personale degli istituti di credito” (Cass. n. 9576 del 2001). Dunque, “indipendentemente dal conseguimento di un utile personale”, il comportamento di un dipendente bancario “posto in essere in violazione delle procedure interne, dei diritti dei correntisti e dello specifico interesse datoriale al mantenimento di una affidabile e trasparente organizzazione del lavoro” è “idoneo a compromettere irrimediabilmente l’elemento fiduciario sotteso al rapporto di lavoro” (Cass. n. 6901 del 2016).
Non solo, quando vengono contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice del merito non deve esaminarli atomisticamente, ma deve valutare complessivamente la loro incidenza sul rapporto di lavoro. Al contrario, la Corte di merito dopo aver escluso che fosse emersa la prova che il direttore avesse realizzato le condotte oggetto delle “prime tre contestazioni disciplinari”, ha scrutinato le altre contestazioni giungendo, per tutte, alla conclusione che fossero prive di rilievo disciplinare in quanto “scevre di offensività”.
Dunque, lungi dal verificare se tali condotte integrassero o meno degli inadempimenti rilevanti (artt. 2119 c.c. o 3 l. n. 604 del 1966), ha ragionato esclusivamente sulle loro conseguenze, peraltro apoditticamente escludendo ogni attitudine lesiva dei comportamenti ascritti al dipendente bancario.
In particolare, insiste la Cassazione, ha trascurato di considerare il costante indirizzo secondo il quale, in tema di licenziamento disciplinare, è irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, l’assenza o la speciale tenuità del danno subito dal datore di lavoro. Si tratta infatti di elementi da soli “affatto sufficienti ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, perché ciò che rileva è la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”.
Pertanto, prosegue il ragionamento, la mancanza di effettive conseguenze pregiudizievoli, in danno del datore o di terzi, ovvero l’assenza di concreti vantaggi, a favore del lavoratore o di terzi, così come l’eventuale comportamento successivo volto a elidere gli effetti dannosi dell’atto contestato, non valgono, di per sé, a escludere l’inadempimento e, quindi, la rilevanza disciplinare del fatto, potendo piuttosto concorrere, unitamente a ogni altro fattore oggettivo e soggettivo palesato dal caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l’idoneità della condotta a giustificare la massima sanzione disciplinare.
La Suprema corte, poi, sottolinea come la sentenza impugnata “neanche spiega come possa considerarsi radicalmente priva di rilievo disciplinare la condotta del direttore di banca che, secondo quanto concordemente accertato dai giudici di prime cure, abbia: attivato una carta di credito all’insaputa della cliente e allo scopo di raggiungere obiettivi commerciali, domiciliando la carta presso la filiale e conservandola ivi col relativo PIN; effettuato accrediti fittizi sui conti di alcuni clienti, annullando poi le operazioni; addebitato somme sul conto di un ignaro cliente per un importo corrispondente agli accrediti operati in favore di altri clienti a titolo di rimborso spese varie”.
Infine, conclude la Corte, appare “fuorviante” il richiamo alla “offensività”, espressione del principio di matrice penalistica secondo il quale la sussistenza del reato va, comunque, riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene tutelato”. Infatti, considerata l’eterogeneità degli interessi protetti, il principio proprio del diritto penale può essere trasposto nel diritto civile e assumere rilievo decisivo in materia disciplinare solo ove venga tipizzato dal legislatore il bene giuridico protetto (come nel caso della compromissione dell’immagine del magistrato per gli illeciti disciplinari, secondo quanto emerge esplicitamente dall’art. 3, lett. h), e dall’art. 4, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006).
Legittimo il licenziamento del dirigente “inadeguato” al ruolo
di Michele Giammusso*