Amministrativo

Beni culturali, vincolo di destinazione d'uso legittimo se il bene costituisce "espressione di identità culturale collettiva"

Nella continuità dell'attività commerciale è ravvisato un interesse culturale per "riferimento" a specifici fatti ed eventi riguardanti la storia, artistica e culturale, della comunità nazionale e locale di cui la cosa tutelata ha costituito la sede o reca testimonianza

di Francesco Paolo Francica*

L'Adunanza Plenaria in commento ( Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5 del 13.02.2023 ) è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del decreto con il quale il Ministero della Cultura ha imposto (ai sensi dell'art. 10, comma 3, lett. d), del D.Lgs. n. 42 del 2004) un vincolo di tutela d'uso ad uno storico locale di ristorazione, conosciuto ed apprezzato anche nel resto del mondo.

Il vincolo in questione investe le cose materiali individuate tanto in un'unità immobiliare all'interno dell'edificio (già dichiarato di interesse culturale) quanto nelle opere e negli elementi di arredo conservati al suo interno, e tutela l'immobile quale "ristorante", valorizzando, dunque, l'attività commerciale in esso esercitata avendo ravvisato, nella continuità di tale attività, un interesse culturale per "riferimento" a specifici fatti ed eventi riguardanti la storia, artistica e culturale, della comunità nazionale e locale di cui la cosa tutelata ha costituito la sede o reca testimonianza.

Il vincolo, in applicazione dei principi di 'espressione di identità culturale collettiva' e di 'patrimonio culturale immateriale', si traduce in una imposizione di conservazione, oltre che degli aspetti architettonici e decorativi, anche della 'continuità d'uso' esplicata negli aspetti legati alla tradizione culturale di convivialità del locale, avendo quale precipuo scopo la valorizzazione, sia sotto il profilo sistematico che teleologico, della connessione inscindibile tra elementi materiali e immateriali.

Sull'ammissibilità di un simile vincolo culturale di destinazione d'uso, prima di questa pronuncia si è registrato un prolungato contrasto esegetico nella giurisprudenza amministrativa.

Per un primo indirizzo giurisprudenziale (es. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1266 ;), non si può imporre un vincolo culturale di destinazione d'uso, in quanto incompatibile con il dato positivo e con la tutela costituzionale e convenzionale del diritto di proprietà e della libertà di iniziativa economica, specie per attività commerciali o imprenditoriali, anche se attinenti a valori storici e culturali presi in considerazione dalla legge.

Un'altra parte della giurisprudenza ha sostenuto posizioni parzialmente divergenti, tese ad affermare l'ammissibilità - in via di eccezione – di un vincolo culturale di destinazione d'uso ove funzionale ad una migliore conservazione della res in tutti i casi in cui quest'ultima abbia subito nel tempo una particolare trasformazione proprio in ragione della sua specifica destinazione (es. Consiglio di Stato, sez. VI, 28 agosto 2006, n. 5004 ).

Infine, una terza impostazione ha ritenuto che la legittimità del vincolo di destinazione d'uso dovrebbe essere valutata, anziché sulla base di fattispecie derogatorie predeterminate in via astratta, avendo riguardo all'adeguatezza della motivazione alla base della decisione amministrativa assunta in concreto per ogni singolo caso.

L'Adunanza Plenaria ritiene di aderire al terzo orientamento ora sintetizzato, dal momento che il quadro costituzionale di riferimento, e segnatamente gli articoli 18, comma 1, 20, comma 1, e 21, comma 4, del Codice approvato con il D.Lgs. n. 42 del 2004, attribuiscono al Ministero della Cultura il potere di vigilanza sui beni culturali conferendogli – anche – un potere di verifica della permanenza di compatibilità nei casi di mutamento dell'uso.

Secondo la pronuncia in commento questa posizione non si traduce in una irragionevole o sproporzionata limitazione del diritto di proprietà o della libertà di iniziativa economica, dal momento che l'esigenza di protezione culturale dei beni, determinata dalla loro utilizzazione e dal loro uso pregressi, si estrinseca in un vincolo di destinazione che è pur sempre giustificato dall'interesse culturale ex art. 9 Cost., interesse che prevale su qualsiasi altro interesse - ivi compresi quelli economici (cfr. Corte costituzionale, 20 dicembre 1976, n. 245 ). Peraltro, tale interpretazione è coerente – ad avviso dell'Adunanza - con il complessivo sistema normativo di tutela dell'interesse culturale, basato non soltanto sull'azione delle Autorità statali ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, ma anche sull'esercizio di distinti poteri pubblici, come il potere di pianificazione territoriale.

Ciò premesso, tale potere vincolistico deve pur sempre essere sorretto da una c orretta attività istruttoria e adeguata motivazione sulla sussistenza di valori culturali, estetici e storici tutelabili, avendo riguardo al riferimento della res alla storia della cultura e alla rilevanza artistica degli arredi ivi conservati, e comunque, sempre stando all'Adunanza Plenaria in commento, il vincolo di destinazione non deve, comunque, imporre alcun obbligo di esercizio o prosecuzione dell'attività commerciale e imprenditoriale, né attribuire una 'riserva di attività' in favore di un determinato gestore, al quale non può essere attribuita una sorta di "rendita di posizione".

In definitiva, quel che può essere imposto è un divieto di usi diversi da quello attuale, a tutela tanto del bene culturale quanto dei valori in esso incorporati, anche al fine di salvaguardare, oltre alla conservazione della res, pure la continuità della condivisione, della riproduzione e della trasmissione delle manifestazioni immateriali a cui la cosa sia collegata, sicché a nche la tutela dei beni culturali (in uno alle attività) che costituiscono "espressione di identità culturale collettiva" può essere disposta sulla base del Codice dei beni culturali.

Da ultimo, l'Adunanza Plenaria si spinge ad una interessante definizione di "bene culturale", chiarendo che esso rileva anche come "testimonianza vivente", vale a dire come mezzo di prova dell'esistenza della manifestazione culturale, immateriale e collettiva, che, per mezzo di esso, si alimenta e si ricrea, perpetuandosi nel tempo, tanto che "l'elemento immateriale e quello materiale vengono così a coesistere in un tutt'uno inscindibile, in cui spazio e tempo attribuiscono nel loro insieme alla res il valore culturale meritevole di tutela".

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*A cura dell'avv. Francesco Paolo Francica , Carnelutti Law Firm

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