Nesso tra condotta del medico e decesso per dimissioni premature dal pronto soccorso
Scatta la responsabilità penale per l’evento nefasto, a titolo di colpa omissiva, se il sanitario non rispetta le linee guida che impongono cautela e necessità di un periodo di osservazione in ospedale
No al proscioglimento nel merito del medico che ha omesso di applicare le linee guida dettate per scongiurare l’evento mortale dell’infarto di una persona che presentava alterazioni di alcuni valori premonitori anche se non indicativi in modo univoco della gravità della situazione di malessere da curare.
Come spiega la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 41173/2024 - l’omesso adeguamento del comportamento del sanitario alle regole statistiche accettate dalla comunità scientifica e trasfuse in prassi doverose, comporta la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento lesivo successivamente verificatosi.
Nel caso concreto il fatto imputato al comportamento negligente del medico era stato il decesso - per infarto - di un uomo che recatosi al pronto soccorso con un forte dolore oppressivo al torace era stato velocemente dimesso per poi morire a casa propria dopo solo 6 ore.
L’imputato pretendeva, tra le altre cose, che l’evento mortale non fosse da correlare al malessere che aveva inizialmente spinto l’uomo a recarsi al pronto soccorso: ossia le anomalie riscontrate in sede di visita d’urgenza non potevano dirsi legate a un infarto in atto. Al contrario, ipertensione cronica, dolore toracico e alterazione dei valori sanguigni non erano segnali da sottovalutare, neanche tenendo conto dell’obiezione dell’imputato secondo cui, visto il sovraffollamento del nosocomio non avrebbe potuto essere garantito un adeguato intervento.
La Cassazione conferma, invece, come non sia illogico ritenere che l’aumento seppur contenuto della proteina protonina nel sangue del paziente sia un chiaro allarme di infarto per un medico. Il fatto che l’alterazione fosse lieve e che l’uomo avesse sentito scemare, durante la permanenza al pronto soccorso, il senso di oppressione cardiaca non giustificano la mancata osservazione del paziente e la ripetizione dopo tre ore dell’esame sanguigno al fine di rilevare l’andamento della protonina.
Il mantenimento in stato di osservazione di un paziente che abbia manifestato, anche unitamente ad altri sintomi poi venuti meno, l’alterazione di tale proteina è regola di cautela dettata appunto dalle linee guida scientifiche cui il sanitario doveva attenersi al fine di scriminare la propria responsabilità penale in caso di avveramento dell’evento nefasto.
Il mancato adeguamento del medico alle prescrizioni di cautela in materia consente, infatti, di affermare l’esistenza del nesso causale tra l’omissione e lo scatenersi di un evento mortale che - come emerge nel caso concreto -poteva essere ben contrastato fino alla guarigione se la persona fosse stata monitorata per tutto il tempo dovuto.
Nesso causale che - nonostante la volontà del ricorrente di rinunciare alla prescrizione a vantaggio di un pieno proscioglimento - predicava a sostegno della responsabilità penale per colpa medica.
Infatti, vista la presenza della parte civile, l’impugnazione delle statuizioni sul risarcimento aprono alla rivalutazione della responsabilità dell’imputato, ma che non può essere messa in discussione - ai fini di far prevalere l’innocenza sulla prescrizione - dalla mera contraddittorietà di alcuni elementi di prova.
Il ricorrente voleva, infatti, far valere altri stati di morbilità del paziente come determinanti il decesso non prevedibile. Al contrario i giudici di legittimità in armonia con quelli di merito hanno ritenuto che proprio la presenza di altri stati cronici quali l’ipertensione arteriosa avrebbero dovuto indurre il medico ad applicare tutte le regole di cautela che aveva invece omesso.