Lavoro

Cassa forense studia il passaggio al contributivo per sostenere le pensioni dei legali

L'Ente ha istituito una Commissione incaricata di valutare ed ipotizzare possibili riforme del sistema previdenziale

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di Francesco Machina Grifeo

Sono due le opzioni a cui Cassa forense sta lavorando per mettere in sicurezza il futuro pensionistico degli avvocati italiani. La prima, più conservativa, prevede un intervento sia sui contributi che sulle prestazioni per preservare il sistema retributivo attuale dandogli però maggiore stabilità. La seconda ipotesi allo studio degli Uffici, invece, comporterebbe una svolta nel sistema pensionistico col passaggio al contributivo pro rata. Ci vorranno però ancora due o tre mesi, si arriverà dunque a marzo o ad aprile, prima che calcoli e proiezioni siano ultimati per passare poi alla fase di valutazione vera e propria che tra emendamenti e votazioni da parte degli organi dell'ente non si preannuncia breve.

La necessità di intervenire sul sistema previdenziale, che è stato definito un "retributivo sostenibile" perché calcolato sui redditi dell'intera vita lavorativa, avvicinandosi dunque per certi aspetti ai regimi contributivi, è stata fortemente acuita dalla pandemia che ha inciso drammaticamente su iscritti e redditi. Per averne la fotografia è sufficiente guardare alle oltre 140mila domande presentate dagli avvocati per i 600 euro del reddito di ultima istanza.

"Anche prima del Covid – afferma Luigi Pansini, presidente dell'Anf - i numeri dell'avvocatura erano impietosi". Al 31 dicembre 2019 (redditi Irpef 2018): 20mila avvocati non hanno nemmeno inviato ilModello 5; 16mila hanno dichiarato reddito zero; 58mila hanno dichiarato redditi sotto 10.300 euro; 47mila tra 10.301 e 19.828.

In altri termini, in Italia ci sono 93mila avvocati iscritti che guadagnano meno di 10mila euro all'anno, mentre oltre la metà della categoria, 140mila legali, sono sotto la soglia dei 20mila euro. Ce ne sono poi altri 63.062 che si collocano tra 19.828 e 50.050 euro.

Sopra
la soglia dei 50mila euro dunque ci sono soltanto 41mila avvocati, il 16% del totale, così divisi: 25mila nella fascia fino 100mila euro; 7.717 restano sotto i 150.000 euro; 5.189 professionisti si collocano tra 150.000 e 250.000 euro; 2.800 avvocati tra 250.000 e 500.000 e infine 1.319 supericchi viaggiano oltre i 500.000 euro.

La categoria dunque è molto sperequata e dopo otto anni di iscrizione obbligatoria alla Cassa fatica a stare sotto lo stesso tetto. Questi dati, prosegue Pansini, già incidevano negativamente sul sistema previdenziale ante lockdown ma ora impongono un intervento. Secondo l'Anf, però, entrambe le ipotesi richiedono anche una modifica delle norme sostanziali che disciplinano la professione e sulle quali poi è modellato il sistema previdenziale ed assistenziale. La Cassa ed il Consiglio nazionale forense devono affrontare il fatto che ci sono avvocati che per più anni dichiarano un reddito zero, per cui si deve valutare se ha senso mantenerli nel regime ordinario. "Per chi dichiara fino 10mila euro - si interroga Pansini - non è meglio tornare alla gestione separata?".

Nell'Avvocatura e nel suo sistema previdenziale, è il ragionamento dell'Associazione forense, non può infatti rientrare di tutto. Dall'analisi delle domande di reddito di ultima istanza è venuto fuori che un numero consistente di avvocati, secondo alcune stime circa 40mila, svolgono anche due, tre, fino a quattro professioni diverse, in questi casi si potrebbe pensare a differenziare gli albi. Una riforma previdenziale non può che partire dall'analisi di come è strutturata l'Avvocatura sotto il profilo reddituale e 35mila professionisti che non dichiarano nulla drenano soltanto risorse per l'assistenza.

Nell'ultimo bilancio approvato si legge : "appare importante sottolineare come, a fronte dell'intera platea degli iscritti quelli che sono tenuti a pagare per intero i contributi minimi sono circa 142.000; oltre 106.000 iscritti, infatti, nel 2019, hanno fruito delle numerose agevolazioni previste dal regolamento ex art. 21 e dalla normativa previgente (riduzione per i primi anni di iscrizione, esonero ex art. 10 e per i pensionati di vecchiaia, ecc…)".

Un altro tema poi riguarda i controlli che sono carenti, La Cassa infatti dovrebbe segnalarli all'Ordine che a quel punto dovrebbe avviare un procedimento disciplinare, ma quasi mai viene fatto. Per l'Anf duque si rende perciò necessario un momento di confronto fra Cassa Forense, iscritti, componenti istituzionali e associative dell'Avvocatura.

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