Lavoro

Cessione d’azienda, quando il licenziamento è inesistente

La Cassazione, ordinanza n. 31551 depositata oggi, chiarisce che il licenziamento effettuato da Compagnia Aerea Italiana (CAI) dopo la cessione dell’azienda ad Alitalia SAI non è illegittimo ma inesistente

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di Francesco Machina Grifeo

Arrivano i chiarimenti della Cassazione sui licenziamenti intimati nel caso di cessione d’azienda. Nello specifico, la Sezione lavoro, ordinanza n. 31551 depositata oggi, afferma che il licenziamento intimato a non domino, da un soggetto effettivamente estraneo al rapporto (datore di lavoro formale, apparente o comunque soggetto non legittimato), non è idoneo in nessun caso a esplicare effetti sul rapporto di lavoro instaurato con il datore di lavoro sostanziale.

E allora il licenziamento intimato da CAI (Compagnia aerea italiana) dopo la cessione di azienda non può essere definito illegittimo per ingiustificatezza (mancanza di giustificato motivo oggettivo), bensì deve ritenersi giuridicamente inesistente. La cedente CAI, dunque, non può essere condannata a pagare alcunché alla lavoratrice (neppure in via solidale), essendo il rapporto continuato ex lege col cessionario, unico soggetto obbligato a risarcire il danno.

La Corte d’appello di Roma, invece, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato nel luglio 2019 da CAI Spa alla lavoratrice e condannato la società cessionaria, Alitalia Società Aerea Italiana S.p.A. (Alitalia SAI spa), alla reintegrazione, con condanna di CAI pagamento di 12 mensilità. In particolare, la ragione oggettiva addotta nell’atto di recesso di CAI (cessazione dell’attività di trasporto aereo) veniva inquadrata nell’ipotesi, regolata dall’art. 18 S.L., della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per g.m.o..

Per la Suprema corte il recesso in quanto tam quam non esset non può essere affetto da ingiustificatezza, illegittimità o nullità (che condurrebbero all’applicazione della tutela ex art. 18 l.300/70 o della tutela ex art 8 l.604/1966), trattandosi di un atto proveniente da soggetto estraneo al rapporto lavorativo, con conseguente impossibilità di ratifica da parte del cessionario. La tutela che ne segue è perciò quella di diritto comune, perché il rapporto deve considerarsi in essere e deve seguire la corresponsione di tutte le retribuzioni medio tempore maturate.

In altri termini, afferma la Cassazione citando un recente precedente (Cass. ord. n. 3235/2024) il licenziamento intervenuto dopo il passaggio ex lege del rapporto di lavoro, garantito dall’effetto legale ex art. 2112 c.c. in caso di cessione di azienda (o retrocessione), è come se non esistesse e non deve essere impugnato in alcun termine di decadenza, perché non si discute nemmeno di licenziamenti e della relativa disciplina. In tali casi, la domanda svolta dal lavoratore “è intesa soltanto a far valere l’effettività del passaggio”. Ad avvalersi cioè degli effetti ex lege della cessione e non a impugnare un licenziamento che per essere intervenuto dopo il passaggio è inidoneo a inficiare gli effetti legali del passaggio e a determinare alcuna estinzione del rapporto.

Negli stessi termini anche Cassazione n. 27322/2023: “In caso di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene ope legis ex art. 2112 c.c., sicché il licenziamento intimato dal cedente successivamente alla cessione è totalmente privo di effetti”.

In questa direzione, conclude la Corte, depone anche l’art. 80-bis del cd “Dl Rilancio” (n. 34/2020), il quale esclude che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro (menzionati dall’art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2015) rientri il licenziamento intimato dal datore di lavoro apparente in quanto interposto. La norma è di interpretazione autentica ed è quindi applicabile retroattivamente.

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