Civile

Clausole poco chiare da applicare sempre a favore del cliente

Per la Cassazione il principio vale anche se è possibile un’interpretazione diversa

di Maurizio Hazan

Con l’ordinanza 25849/21 pubblicata il 23 settembre, la Cassazione torna sul tema dell’interpretazione dei contratti assicurativi e sulla necessità che siano scritti in termini «chiari e comprensibili». Non è una novità in senso assoluto e la chiarezza è richiesta anche per legge. Ma l’ordinanza dimostra chiaramente la volontà di piegare il testo contrattuale verso l’interpretazione di maggior protezione, anche laddove vi sarebbe la possibilità di dare un’altra e diversa chiave di lettura.

La Corte si è pronunciata su una polizza della responsabilità civile, in cui la garanzia viene esclusa per i danni causati al coniuge, ai genitori e ai figli degli assicurati, agli altri parenti e affini con loro conviventi nonché agli addetti ai servizi domestici. Si trattava di comprendere se il requisito della convivenza, che fa scattare l’esclusione della garanzia, fosse riferito a tutti i soggetti indicati o solo a parenti e affini.

Nella fattispecie il danno era stato subìto da un genitore non convivente. La compagnia negò l’indennizzo affermando che i parenti stretti erano esclusi sempre e comunque, a prescindere dal requisito della convivenza, che invece riguardava gli altri parenti e gli affini. La Corte, pur ritenendo tale interpretazione ammissibile, ne ha seguita un’altra, tal da limitare l’esclusione solo ai soggetti conviventi. Evidente la forzatura, nel senso più protettivo. La via della semplicità e della chiarezza e, soprattutto, della linearità del testo è dunque l’unica da perseguire da parte delle compagnie, per evitare contenziosi dispendiosi e potenzialmente perdenti.

Il Codice delle assicurazioni

Già dal 2005 il Codice delle assicurazioni (Cap) prevede la necessità che il contratto di assicurazione sia scritto in modo chiaro ed esauriente. Tale principio viene declinato con ancor maggior chiarezza dalle norme regolamentari successive alla Direttiva Idd e in particolare dall’articolo 33 del regolamento 41, che impone alle compagnie di redigere i contratti «utilizzando un linguaggio semplice e chiaro».

Si noti che chiarezza non sempre è sinonimo di semplicità: un testo può essere estremamente chiaro ma complesso da comprendere per chi non disponga degli strumenti lessicali e culturali adeguati. Il che vuol dire che alcune garanzie assicurative basiche devono esser spiegate e descritte con un linguaggio “facile” e afferrabile anche da un lettore qualsiasi e mediamente acculturato. Anche se l’oggettiva complessità tecnica della materia assicurativa, che non si presta ad eccessive semplificazioni.

Il problema si pone, ovviamente e soprattutto, in relazione alle clausole di delimitazione del rischio o di esclusione della copertura al verificarsi di determinate circostanze. Si tratta di clausole spesso insidiose e foriere di contestazioni tra le parti all’atto della liquidazione.

Proprio per questo tali clausole devono essere evidenziate, nel testo con caratteri di particolare evidenza, affinchè non sfuggano alla dovuta attenzione del cliente (articolo 166, comma 2 del Cap).

Le sentenze precedenti

Sulla base di tale substrato la Cassazione è a più riprese intervenuta, negli ultimi anni, per censurare contratti o clausole che non siano state scritte in modo tale da non dar atto ad equivoci. Equivoci non tollerabili, dal momento che la compagnia dispone di tutti gli strumenti per scrivere i contratti evitando di ingenerarli.

Secondo la Suprema Corte (sentenze 668/2016 e 10825/2020), ogni qualvolta una clausola può avere più significati la stessa non può che essere interpretata attraverso i criteri previsti dal Codice civile e in particolare quello dell’interpretazione contro il predisponente, prevista dall’articolo 1370 dello stesso codice. In caso di dubbio, dunque, vale la regola del favor per il cliente.

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