Penale

Collare elettrico al cane: non è reato se non provoca sofferenze

Per la Cassazione non basta far indossare al proprio cane il collare elettrico per giustificare una condanna penale

di Marina Crisafi *

Far indossare al proprio cane il collare elettrico non giustifica una condanna penale. Se l'animale, infatti, è in buone condizioni di salute e senza cicatrici non scatta il reato ex art. 727, 2° comma, c.p. per la mera applicazione del collare elettrico. Lo ha affermato la terza sezione penale della Cassazione (sentenza n. 10758/2021), facendo cadere definitivamente le accuse nei confronti di un cacciatore.

La vicenda

L'uomo era stato condannato a duemila euro di multa per il reato di cui all'art. 727, comma 2, c.p., per aver applicato un collare predisposto alla trasmissione di scosse elettriche, al proprio cane di razza inglese, che utilizzava per l'attività venatoria, in una condizione produttiva di gravi sofferenze.

Il cacciatore si rivolgeva al Palazzaccio, lamentando tra l'altro che la condotta contestata, ossia l'uso del collare elettrico, non sarebbe inquadrabile in una normativa chiara e precisa, stante la successione di tre ordinanze ministeriali che hanno stabilito il divieto dell'utilizzo di tale collare, facendo riferimento ai casi di abuso dello strumento: ordinanza che il Tar del Lazio ha annullato, per cui, egli non sarebbe stato in grado di conoscere con certezza e sufficiente precisione il contenuto del divieto penalmente sanzionato.

Inoltre, l'uomo si doleva della ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. A suo dire, il cane non aveva alcun segno di lesione sul collo e godeva di ottima salute. Inoltre, il modello di collare applicato poteva essere usato anche solo per l'emissione di impulsi sonori e la localizzazione dell'animale. Ergo, in mancanza dell'accertamento di un pregiudizio concreto per il cane, l'elemento oggettivo difetterebbe, non potendo certo essere integrato dalla mera applicazione del collare.

Il reato ex art. 727, comma 2, c.p.

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato.

L'art. 727, comma 2, c.p. infatti premettono, punisce, come ipotesi contravvenzionale, "chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze".

La norma è stata costantemente interpretata nel senso che l'utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poichè concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale (cfr., tra le altre, Cass. n. 21932/2016).

La condotta vietata, osserva quindi la Corte, non è la mera apposizione sull'animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi "gravi sofferenze": evento del reato, da intendersi nell'insorgere nell'animale di patimenti psicofisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità.

La decisione

Nella fattispecie, il cane indossava due collari, uno per il richiamo acustico e uno munito di elettrodi tramite telecomando (peraltro non rinvenuto), ma gli accertamenti l'hanno trovato in buone condizioni di salute, senza segni cutanei all'altezza del collo, né problematiche di udito.

In sostanza, mancavano elementi indicativi sia del concreto utilizzo del collare che, soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall'animale quale conseguenza dell'utilizzo stesso.
Da qui, l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

a cura di Marina Crisafi *

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