Collegio sindacale, reati di bancarotta e responsabilità penale
Nota a Corte di Cassazione, Sez. V Penale, Sentenza 26 maggio 2021, n. 20867
La pronuncia qui in esame conferma alcuni interessanti spunti di riflessione in merito ai presupposti del concorso dei membri del collegio sindacale nei reati di bancarotta.
Chiamata a pronunciarsi in ordine a una vicenda avente ad oggetto il dissesto di una cooperativa a r.l., la Suprema Corte prende le mosse ricordando che il concorso dei membri del collegio sindacale "può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo [...] poiché" il perimetro del controllo spettante al collegio non può essere circoscritto a "una mera verifica formale" o a "un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione messa a disposizione dagli amministratori, ma deve ricomprendere il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione [...] ovvero estendersi al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell'interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali" (p. 7).
La responsabilità del collegio sindacale poggia infatti sulle norme di cui agli artt. 2403 e ss. c.c. la cui disciplina - come chiarito dalla giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, 5 marzo 2014, n. 26399) - prevede che "il collegio sindacale rappresenta un organo di controllo tipico, chiamato a vigilare sull'amministrazione della società, con il compito di garantire l'osservanza della legge ed il rispetto dell'atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia tenuta in modo regolare" (p. 7).
Tuttavia, non sempre il mancato esercizio dei doveri di controllo è idoneo a configurare un'ipotesi di responsabilità penale a carico dei membri del collegio sindacale; infatti, "la responsabilità dei sindaci, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sussiste solo qualore emergano puntuali elementi sintomatici [...] in forza dei quali l'omissione del potere di controllo - e, pertanto l'inadempimento dei poteri doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli amministratori - esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia nella forma di dolo eventuale, per consapevole volontà di agire anche a costo di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità da parte degli amministratori" (p. 7).
Alcuni di questi elementi sintomatici "della volontà dolosa di concorrere nel reato" (p. 7) sono poi stati menzionati da Cass. Pen., Sez. V, 5 marzo 2014, n. 26399 ove si è attribuito risalto "al fatto che i sidaci siano espressione del gruppo di controllo della società; alla circostanza che di essa sia provata la rilevante competenza professionale ovvero che i sindaci abbiano omesso, malgrado la situazione critica della società, ogni minimo controllo" (pp. 7-8).
Tutto ciò posto, la Suprema Corte censura - alla stregua dei principi appena menzionati - le conclusioni a cui era pervenuta la Corte d'Appello, la quale ha attribuito la responsabilità per omissione ai sindaci, facendo "corrispondere il piano di responsabilità dei ricorrenti ex art 40 cpv. alla mer aloro posizione di garanzia, valutando astrattamente gli indubbi doveri e poteri di controllo loro attribuiti per legge e, a posteriori, le numerose irregolarità riscontrate, senza verificare la concreta possibilità di avvedersi delle anomalie [...] con ciò non tenendo conto della piattaforma istruttoria" (p. 8).
In particolare, la Corte d'Appello aveva fondato la responsabilità dei sindaci, da un lato, sulla scorta di alcuni fattori di dissesto "risultati evidenti [...] soltanto successivamente al commissariamento governativo ed alla liquidazione coatta amministrativa" (p. 8), mentre, sotto altro aspetto, non si è curata di esplicitare adeguatamente in merito a "come i sindaci avrebbero potuto impedire l'evento contestato [...] senza che sia stata provata la partecipazione a tale modalità fraudolenta di sottrazione di risorse mediante l'omesso controllo demandato al collegio sindacale" (p. 8).
A conferma di ciò, si legge peraltro che la motivazione della Corte d'Appello non ha neppure attribuito rilevanza né "alla circostanza che dette condotte distrattive sono state in grado di ingannare gli enti pubblici preposti a singole porzioni di controllo della gestione societaria" (p. 8) né al dato per cui gli imputati erano "stati dichiaratamente indicati dalla sentenza impugnata come persone di scarsa competenza professionale" (p. 8).
Tale soluzione, conclude la Cassazione, deve essere censurata e "deve ribadirsi, invece, che la responsabilità dei sindaci non può desumersi da una mera loro posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l'esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, sia pur libera e portata "in alcun modo", dei sindaci stessi all'attività degli amministratori ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato di bancarotta fraudolenta da parte di costoro" (pp. 8-9).