Come le imprese possono limitare il rischio o identificare casi di carbonwashing?
Possibili scenari e fattori di materialità che incentivano la falsa rappresentazione aziendale dei dati relativi alle emissioni di carbonio
Il ritmo accelerato dei green claims riferiti agli impegni sul conseguimento di zero emissioni nette di carbonio entro il 2050 è direttamente proporzionale alla possibilità che le imprese pongano in essere pratiche di carbonwashing.
Detto fenomeno consente alle imprese, nel breve periodo, di poter beneficiare di un incremento dei profitti e di una positiva ricaduta in termini di corporate reputation , ostacolando, nel contempo, il conseguimento degli obiettivi di lungo periodo di mitigazione dei rischi del climate change.
L’aumento degli impegni per il clima e degli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio net zero ha orientato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dell’affidabilità dei dati sul carbonio. Negli ultimi anni, difatti, si è registrato un significativo incremento della domanda e della spesa per l’acquisizione dei dati sul carbonio nell’ambito della finanza sostenibile, necessari per la realizzazione di investimenti ESG in imprese green, sostenibili o allineate ai criteri ESG. Tuttavia, gli attuali standard di rendicontazione del carbonio e le normative correlate non sembrano sufficienti a guidare le imprese nel loro percorso verso la transizione energetica a basse emissioni di carbonio e degli obiettivi economici a zero emissioni nette.
Sebbene molte imprese si impegnino a implementare misure volte a decarbonizzare le loro attività, tuttavia tali iniziative di decarbonizzazione non sembrano pienamente rientrare negli attuali framework di rendicontazione del carbonio o nelle strategie di valutazione allineate al clima.
La valutazione delle imprese sotto il profilo delle prestazioni in termini di emissioni di carbonio rappresenta un processo complesso. Infatti, in ragione dei diversi modi in cui le imprese possono comunicare le loro prestazioni, può essere difficile differenziare i casi di carbonwashing da una comunicazione ambientale genuina e ciò dipende dalla natura prevalentemente anticipatoria della maggior parte dei rapporti sui dati sul carbonio.
In altri termini, il focus del green marketing aziendale si è spostata dai dati effettivi sulle performance ex post agli obiettivi teorici e predittivi delle performance ex ante . Per esempio, le imprese erano solite segnalare le loro riduzioni delle emissioni di carbonio rispetto a una determinata baseline, mentre ora sono più incentrate nella promozione di obiettivi basati sulla riduzione delle emissioni di carbonio.
Il divario tra i green claims aziendali in tema di decarbonizzazione e le corrispondenti tangibili iniziative si è ulteriormente espanso. La maggior parte dei mercati dei capitali si basa ancora principalmente su dati non certificati, non verificati e auto-dichiarati e l’assenza di rigorosi processi di convalida, incentiva tuttora una buona parte delle imprese a perseguire strategie di basso rischio/alto rendimento connesse ad attività di disinformazione.
Il carbonwashing rappresenta un errore sistemico di divulgazione nel mercato di dati relativi alle emissioni di carbonio di un’organizzazione, nonché un’esternalità negativa che ha un impatto sulle imprese, sugli stakeholder e sulla società nel suo complesso.
I vantaggi economici e reputazionali delle imprese di presentarsi come leader nell’area di mitigazione del clima sono evidenti e i dati sul carbonio rappresentano la valuta principale per convalidare e comunicare le iniziative di decarbonizzazione sul mercato.
Tutto ciò ha ovviamente incrementato il numero di incidenti di carbonwashing , sia in termini qualitativi che quantitativi.
La diffusione di informazioni fuorvianti o prive di fondamento può perfezionarsi in ogni fase del ciclo di vita dei dati sul carbonio e divenire una pratica così fortemente integrata nel processo generale di divulgazione del carbonio tale da rendere i casi di carbonwashing difficilmente individuabili. Senza un’adeguata attività di controllo, stringenti obblighi normativi e framework di misurazione, rendicontazione e verifica basati sulla scienza, il carbonwashing potrebbe trasformarsi in uno dei rischi più gravi per il conseguimento dei tanto auspicati obiettivi di neutralità climatica.
In altri termini, la disseminazione di dati sul carbonio basati preminentemente su un impatto teorico e predittivo (ex ante) - che si contrappone all’implementazione di concrete misure volte a ridurre le emissioni di carbonio (ex post), il cui impatto dovrebbe essere comunque misurato, rendicontato e verificato - renderebbe il percorso verso una transizione allineata agli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi altamente improbabile.
La proposta di un inquadramento tassonomico degli incidenti di disinformazione dei dati sul carbonio, attraverso una vera e propria mappatura dell’ecosistema di rendicontazione dei dati sul carbonio, potrebbe rivelarsi uno strumento estremamente utile per i legislatori, per i regolatori e le organizzazioni che si occupano di reporting di sostenibilità e per gli utilizzatori, allo scopo di individuare i rischi potenziali ed eventuali casi di carbonwashing.
Al fine di identificare i casi di carbonwashing, si propone un elenco di potenziali scenari e corrispondenti fattori di materialità che potrebbero potenzialmente consentire o incentivare la falsa rappresentazione dei dati relativi al carbonio. L’elenco proposto offre alle imprese la possibilità di mappare correttamente la comunicazione aziendale relativa al clima sulla base di fattori potenzialmente in grado di influenzare la quantità e la qualità dei dati sul carbonio. Le imprese dovrebbero, pertanto, costruire un modello multilivello riferito al ciclo di vita dei dati sul carbonio che spieghi come tali dati vengono generati, raccolti e distribuiti.
A un primo livello, viene determinato l’impatto ambientale attraverso il processo del ciclo di vita dei prodotti o servizi dell’impresa, utilizzando il life cycle assessment (LCA).
A un secondo livello, è possibile determinare le eventuali discrepanze ( carbonwashing ) tra i dati sul carbonio riferiti ai prodotti o servizi comunicati dall’impresa (ex post) con i risultati derivanti dalla metodologia LCA (analisi comparata tra i dati esaminati ex ante e le successive fasi ex post di misurazione, rendicontazione e verifica).
In seno a tale secondo livello, possono essere definite una serie di categorie che coprono i fattori più comuni e materiali riferiti al carbonwashing:
- quota sproporzionata di piani endogeni di decarbonizzazione ex ante , che spesso comprende annunci ex ante relativi ai dati sul carbonio (inclusi obiettivi net zero, riduzione del carbonio, impegni e altre forme di piani di gestione del carbonio) eccessivamente ambiziosi o mal documentati, che non sono soddisfatti con pari livello di ambizione nei green claims aziendali riferiti alle fasi di monitoraggio, rendicontazione e verifica ex post;
- virtue signaling immateriale che si traduce, ad esempio, in annunci aziendali riferiti a iniziative limitate alla piantumazione di alberi che, sebbene tentino di dimostrare l’avvenuta compensazione di emissioni di carbonio, tuttavia costituiscono una componente immateriale dell’impronta di carbonio complessiva. Tutto ciò si traduce anche in un eccessivo affidamento su piani di compensazione del carbonio, tale che ogni obiettivo di riduzione del carbonio appaia come una manovra fortemente speculativa;
- misurazione insufficiente, incompleta o incoerente , che comprende la scarsa raccolta di dati materiali riferiti a progettualità, prodotti o servizi relativi al business lungo la supply chain aziendale;
- metriche di misurazione del carbonio vaghe, poco definite e metodologicamente non trasparenti ;
- segnalazione insufficiente, incompleta o incoerente dei risultati della mancata divulgazione di dati sostanziali;
- divulgazione selettiva, spesso sostenuta dalla segnalazione divergente dei dati materiali a seconda delle aspettative o dal rischio reputazionale correlati ai destinatari dei dati;
- divulgazione frammentata , che costituisce la pratica di diffondere materiale a livello di gruppo attraverso diversi rapporti e altri mezzi di divulgazione come siti web o blog;
- verifica interna insufficiente, incompleta o incoerente , spesso correlata alla mancanza di efficaci meccanismi di governance aziendale e assurance dei dati per verificare le emissioni di carbonio raccolte e calcolate;
- verifica esterna insufficiente, incompleta o incoerente , vale a dire la mancanza di una verifica esterna indipendente dei dati sul carbonio da parte di revisori indipendenti qualificati e accreditati.
Diversi studi hanno illustrato lo scollamento tra il crescente numero di green claims riferiti ai sempre più ambiziosi obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale aziendale e le azioni concretamente implementate dalle imprese per ridurre la quantità delle emissioni che, spesso, non sono supportate dai necessari adeguamenti organizzativi e che spesso si traducono sul piano pratico in spese in conto capitale immateriali, che costituiscono solo una frazione degli importi necessari per ridurre l’impronta di carbonio complessiva dell’organizzazione.
È, altresì, possibile correlare le categorie di carbonwashing in precedenza identificate e i fattori di materialità specifica quali:
- i key drivers , che includono la pressione del mercato e della società in tema di sostenibilità e allineamento con i criteri ESG e gli obblighi normativi imposti dal legislatore europeo in tema di rendicontazione non finanziaria (CSRD, Regolamento SFDR, Regolamento Tassonomia, Green Claims Directive, etc.);
- i rischi , che rappresentano la possibilità che le autorità di controllo o i consumatori possano denunciare o segnalare presunti casi di carbonwashing con potenziali gravi ricadute in termini di sanzioni pecuniarie e corporate reputation;
- gli incentivi rappresentati da elevati benefici in termini reputazionali ed economici per aver (solo apparentemente) dimostrato una sorta di leadership nel settore.
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*A cura di Marco Letizi, PhD, Avvocato, Dottore Commercialista e Revisore Legale, Consulente Internazionale delle Nazioni Unite, Commissione Europea e Consiglio d’Europa