Penale

Comizi politici e diffamazione, seppur "tagliente" la critica è lecita ma deve riguardare le idee politiche

Per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, anche putativa, è necessario, dunque, che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale

di Pietro Alessio Palumbo

Il diritto di critica si sostanzia nella manifestazione di un giudizio valutativo e presuppone un fatto che è assunto a oggetto o a spunto del discorso critico. Con la recente sentenza 19181/2022 la Corte di cassazione ha chiarito che nelle competizioni politiche e nei “comizi” è lecito criticare, disapprovare e screditare, anche con asprezza, le azioni degli avversari, esercitando così il fondamentale diritto di critica garantito dall'articolo 21 della Costituzione, ma occorre pur sempre che si rimanga nei limiti della necessità dell'affermazione e della diffusione delle idee politiche.  

I “confini” del diritto di critica

Il “giudizio critico” non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi. Per riconoscere efficacia esimente all'esercizio di tale diritto, tuttavia, occorre che il fatto presupposto e oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive. In altri termini, non può essere consentito ascrivere a un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili.

Per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, anche putativa, è necessario, dunque, che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità; fermo restando che l'onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo.

Il giudizio valutativo è, infatti, ben diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". In altre parole la critica postula fatti che la giustifichino e, cioè, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse. Quando, però, si fuoriesce da tali limiti e la competizione politica diventa un'occasione per aggredire la reputazione degli avversari, sussiste in pieno il delitto di diffamazione per essere stato superato il confine della continenza; dovendo esercitarsi il diritto di critica politica entro e non oltre i limiti della necessità dell'affermazione e della diffusione delle idee politiche professate; rispettando la verità obiettiva di quanto affermato e non attribuendo agli avversari politici fatti e comportamenti che determinino un “giudizio di disistima” che non trova alcun fondamento nella realtà dei fatti. In tema di diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trascenda nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui nomea; ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato.

La giurisprudenza e la nozione di diritto di critica

La nozione di "critica", quale espressione della libera manifestazione del pensiero rimanda anche e soprattutto all'area della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti; non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili nella difesa dei diritti inviolabili, per cui non è consentito “accentuare” nella gratuita invettiva. Occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio-temporale e dialettico nel quale sono state profferite; e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente arbitrari, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere. E il giudice è chiamato a verificare se il giudizio negativo possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione; così da escludere l’“offesa personale” volta ad aggredire il destinatario con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti; apprezzando il contesto dialettico nel quale si è realizzata la condotta.

Deve infine precisarsi che in materia di diffamazione, la Corte di Cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie; dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato.

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