Compensi avvocato: ininfluente l'apporto del collega senza mandato
L'attività difensiva svolta dal collega al quale non è stato conferito alcun mandato, non ha rilevanza ai fini dei compensi
N on rileva ai fini dei compensi dell’avvocato incaricato, l’apporto dato, nel corso del giudizio, dal collega cui il cliente non ha conferito mandato. È quanto si ricava dall’ordinanza della sesta sezione civile della Cassazione n. 22222/2021.
La vicenda
Nella vicenda, i giudici di merito accoglievano la domanda proposta da un avvocato per chiedere al proprio cliente il pagamento dei compensi professionali per l’attività svolta in giudizio in suo favore.
I giudici accertavano che il legale aveva svolto attività difensiva unitamente a un collega e si era avvalso dell'attività del domiciliatario.
Disattendevano inoltre le deduzioni del convenuto (l’ex cliente), secondo cui (relativamente all’entità dei compensi) vi era stato l’apporto di altro difensore in relazione all’attività di interpretazione e applicazione della clausola della polizza assicurativa poiché tale apporto era ininfluente.
L’ex assistito ricorreva quindi al Palazzaccio, contestando in sostanza il riconoscimento all’avvocato del compenso richiesto, senza la previa dimostrazione dell’attività professionale svolta, ma per i giudici di piazza Cavour il ragionamento dei giudici di merito non fa una piega.
La decisione
Nel caso di specie, infatti, sostengono gli Ermellini i giudici di merito hanno accertato che l’avvocato aveva svolta l’attività per la quale aveva chiesto il compenso.
Quanto ai rilievi relativi all'apporto di altro avvocato, cui peraltro non era stato conferito alcun mandato, sono stati esaminati dal giudice di merito, che, nell'ambito del suo insindacabile apprezzamento, «ha escluso qualunque rilevanza in relazione all'apporto del medesimo per la redazione della comparsa conclusionale, riguardo all'attività di interpretazione ed applicazione della clausola di una polizza assicurativa».
Ininfluente anche l’apporto dell’altro legale nel corso delle riunioni avvenute nello studio del ricorrente.
Per cui, nulla di fatto per il ricorrente che: «sotto lo schermo della violazione di legge, sollecita una rivalutazione delle circostanze di fatto inerente l'apporto effettivo dell'attività difensiva svolta dall’avvocato e, conseguentemente, la valutazione, affidata al giudice di merito relativo all'entità del compenso del professionista”, che è sottratta al sindacato di legittimità.
Non regge neanche il secondo motivo di doglianza, relativo alle spese di lite regolate secondo il principio della soccombenza, nonostante “il ridimensionamento della pretesa dell'attore in ordine alla liquidazione dei compensi professionali, l'accoglimento dell'eccezione di incompetenza territoriale e la deduzione circa il mutamento del rito, integranti giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite».
Anche tale motivo per il Supremo Consesso è inammissibile, giacchè, «in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360, 1° co., n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr., tra le altre, Cass. n. 24502/2017)».