Civile

Compensi al consulente tecnico d’ufficio, il raddoppio deve essere motivato

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di Marco Rossi

Nell'ambito delle consulenze tecniche d'ufficio, il giudice deve motivare specificamente la scelta di aumentare fino al doppio il compenso liquidato al Ctu per l'attività svolta, evidenziando i presupposti che lo consentono correlati a prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà. E' quanto ha stabilito, in coerenza con precedenti pronunce, la Corte di Cassazione con una recentissima sentenza (n° 9023/2016 depositata il 5 maggio 2016), che approfondisce le modalità di applicazione del Dpr 115/2002 recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia».

Il caso esaminato - Era stata impugnata presso la Suprema Corte l'ordinanza con cui il Tribunale aveva giudicato l'opposizione presentata da una delle parti al decreto di liquidazione del Ctu incaricato, che aveva disposto, da un lato, il raddoppio del compenso spettante e, dall'altro lato, non aveva operato alcuna riduzione per effetto del ritardo accumulato nel deposito dell'elaborato peritale.
La questione esaminata, ad evidenza, concerne l'applicazione dell'articolo 52 del Dpr 115/2002 che fa riferimento proprio al compenso dei consulenti tecnici d'ufficio (che costituiscono ausiliari del giudice), prevedendo sia dei casi di aumento e sia di riduzione a partire dall'importo base spettante. Quest'ultimo essendo quantificabile mediante l'utilizzo di apposite tabelle, che definiscono limiti massimi e minimi all'interno dei quali, per giungere all'individuazione dell'importo puntuale, il giudice deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita.
In particolare, nella disposizione, si stabilisce la possibilità di aumentare (fino al doppio) i compensi in presenza di prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà e la riduzione (di un quarto) degli stessi qualora la prestazione non sia completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all'ausiliario del magistrato.

La decisione - Alla luce di tale quadro normativo, la Corte ha quindi censurato l'ordinanza impugnata tanto in relazione all'aumento del compenso quanto in relazione alla mancata riduzione per ritardo.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, l'aumento non sarebbe stato in alcun modo motivato, mentre la riduzione doveva essere applicata sussistendo un ritardo nel deposito dell'elaborato rispetto ai termini assegnati da parte del consulente tecnico.
Merita sottolineare che, sulla questione, la pronuncia si pone in continuità con precedenti indicazioni giurisprudenziali, che avevano sottolineato come la possibilità di aumentare (fino al doppio) il compenso costituisce esercizio di un potere discrezionale attribuito al giudice che, se congruamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità (si veda la sentenza 20235/2009).
Ai fini della maggiorazione e della relativa motivazione, secondo altra pronuncia (sentenza 6414/2007), assumono rilievo alcuni elementi del giudizio, quali l'oggetto ed il valore della controversia, la natura e l'importanza dei compiti di accertamento in fatto, il tempo e l'impegno profusi dall'ausiliare giudiziale.
Non è invece sottoposto all'obbligo di motivazione, infine, l'omesso esercizio di tale potere (anche a seguito di specifica richiesta nell'istanza di liquidazione) dovendosi, in tale caso, ritenersi implicita una valutazione negativa dell'opportunità di avvalersene, con conseguente preclusione, anche in tale ipotesi, del sindacato di legittimità.

Corte di Cassazione - Sezione I civile -Sentenza 5 maggio 2015 n. 9023

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