Amministrativo

Concessioni affidate senza procedura di evidenza pubblica, cade l'obbligo dei titolari di affidare i contratti mediante gara pubblica

Per quanto attiene, in particolare, alla materia degli appalti di lavori, la direttiva71/305/CEE del Consiglio sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici,come modificata dalla successiva direttiva 89/440/CEE, introdusse la facoltà dellestazione appalti di imporre al concessionario di affidare a terzi appalti corrispondenti auna percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione,o, in alternativa, quella di invitare i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offertela percentuale del valore globale dei lavori oggetto della concessione che essiintendevano affidare a terzi.

di Fabio Andrea Bifulco*

I Il legislatore eurounitario prima, e quello interno dopo, avevano da tempo coltoi profili di non concorrenzialità insiti nella distinzione originariamente posta tra appalti econcessioni per quanto concerne le modalità di affidamento, data per queste ultime la prolungata assenza di una regolamentazione e, soprattutto, dell'obbligo concorsuale.

Per quanto attiene, in particolare, alla materia degli appalti di lavori, la direttiva 71/305/CEE del Consiglio sulle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici,come modificata dalla successiva direttiva 89/440/CEE, introdusse la facoltà delle stazione appalti di imporre al concessionario di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione,o, in alternativa, quella di invitare i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offertela percentuale del valore globale dei lavori oggetto della concessione che essi intendevano affidare a terzi.

La disposizione venne riprodotta anche dalla successiva direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993.

Giova al riguardo evidenziare che, per quanto riguarda la prestazione di servizi, la direttiva 92/50/CEE del 18 giugno 1992, limitava il campo di applicazione a quandol'affidamento dei medesimi si fondasse su contratti d'appalto, escludendolo allorché ciò avvenisse su "altra base".

Sul versante dell'ordinamento interno, la l. 11 febbraio 1994, n. 109 (Leggequadro in materia di lavori pubblici), dispose che le amministrazioni aggiudicatricidovessero imporre al concessionario di lavori pubblici l'obbligo di affidare a terzi appalticorrispondenti a una data percentuale minima.

Con le modifiche approvate con la l. 1 agosto 2002, n. 166, si previde che, nelleassegnande concessioni, si dovesse necessariamente porre la alternativa prevista comefacoltativa della normativa europea (ossia obbligo di affidamento a terzi nella percentualeminima del 30%, o indicazione di una percentuale in fase di gara).

Mentre, per le concessione già assentite, ovvero rinnovate e prorogate, si posedirettamente l'obbligo di affidamento a terzi in una più alta percentuale (40%).

La direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delleprocedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,confermò quanto previsto dalla previgente normativa europea.

E, sul versante interno, il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, di recepimento di tale ultimadirettiva, confermò da un lato, per le concessione affidate mediante gara (cfr. l'art. 146),la previgente normativa interna (che, come visto, declinava in obbligo quanto previstodal legislatore europeo a livello di facoltà).

Dall'altro lato (cfr. l'art. 253, comma 25), previde che i titolari di concessioni giàassentite, comprese quelle rinnovate o prorogate, erano tenuti ad affidare a terzi una2 percentuale minima del 60 per cento dei lavori

La ultima e più recente direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014, non ha replicato disposizioni analoghe a quelle sopra viste.

Ma, d'altro canto, è noto che tale direttiva ha sottoposto le concessioni di lavorie servizi a disposizione assai analoghe a quelle previsti per i contratti di appalto di lavori,servizi e forniture, di cui alla direttiva 2014/24/UE, talché l'affidamento tramite gara èormai oggi la regola generale.

In questo contesto l'art. 177 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante codice deicontratti pubblici, ha invece insistito nella pregressa impostazione, stabilendo, al comma

1:- che i titolari di concessioni (di lavori, servizi o forniture) non affidate conprocedure di evidenza pubblica (o project financing), sono obbligati ad affidare,una quota pari all'80% dei contratti di lavori, servizi e forniture;- che la restante parte può essere realizzata da società in house, ovvero da societàdirettamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati,ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica,anche di tipo semplificato.Contestualmente, è stato previsto:- un termine per l'adeguamento, peraltro via via prorogato, da ultimo sino al 31gennaio 2022 (cfr. il comma 2);- un sistema di verifica, basato su linee guida da adottarsi da parte dell'ANAC

II. Adito per la riforma della sentenza del Tar Lazio Sez. I, 15 luglio 2019, n. 9309,
a sua volta innescata dal ricorso promosso da società concessionaria contro le linee guida
approvate da ANAC il 4 luglio 2018, n. 614, il Consiglio di Stato, Sez. V, 19 agosto 2020, n.
5097, aveva sollevato questione di legittimità dell'art. 177 sotto i seguenti profili:

- per violazione della libertà di impresa di cui all'art. 41 Cost., posto che l'obbligo diappalto a terzi, essendo riferito all'intera concessione, sarebbe suscettibile dicomportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allostesso rapporto concessorio in questione, riducendo l'attività del concessionarioa quello di mera stazione appaltante;

- per manifesta irragionevolezza e quindi in relazione all'art. 3, primo comma, Cost.,considerato che l'affidamento del concessionario sarebbe stato sacrificato conmisure non proporzionate allo scopo, visto che l'obbligo di dismissione riguardain via totalitaria tutte le prestazioni, indipendentemente dalla effettivadimensione della struttura imprenditoriale, dall'oggetto e dall'importanza delsettore strategico, dal suo valore economico e dal fatto che il contratto diconcessione fosse ancora in vigore al momento dell'entrata in vigore dell'art. 177,ovvero versasse in una situazione di proroga;

- sotto il profilo dell'art. 97, secondo comma, Cost., per la mancata considerazionedegli effetti della imposta dismissione sull'efficiente svolgimento di servizi pubblici essenziali.

III. Con sentenza n 218/2021 del 23 novembre 2021 la Corte Costituzionale ha
accolto le prime due obiezioni di illegittimità, annullando l'art. 117 nella sua interezza (gli
ultimi due commi in via conseguenziale rispetto alla illegittimità del primo comma),nonché l'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge 28 gennaio 2016, n 11, contenente la delega legislativa alla base del d.lgs. 50/2016 e dell'art. 177.

Questi, in sintesi, i principali passaggi motivazionali:

- l'art. 41 Cost. impone al legislatore di effettuare una operazione di bilanciamento tra la libera iniziativa economica e la introduzione dei limiti al suo esercizio;

- uno degli aspetti qualificanti la libertà di iniziativa economica è costituito dalla possibilità dell'imprenditore di scegliere l'attività da svolgere, le modalità direperimento dei capitali, le forme di organizzazione della propria attività, nonchéi sistemi di gestione di quest'ultima e le tipologie di corrispettivo;

- il legislatore può intervenire a limitare e conformare la libertà d'impresa infunzione di tutela della concorrenza, ma ciò nei limiti della ragionevolezza e dellanecessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti, e senza pervenire al completo sacrificio della facoltà dell'imprenditore di compiere le scelte di cui si è detto;

- l'obbligo previsto dall'art. 177 costituisce una misura irragionevole esproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, con conseguenteviolazione sia dell'art. 3, primo comma, che dell'art. 41, primo comma, Cost.

- la irragionevolezza si collega innanzitutto alle dimensioni della dismissione,trattandosi della parte più grande delle attività concesse (80%), e trasforma lanatura stessa dell'attività imprenditoriale, tramutando l'imprenditore in soggettopreposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse;

- ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, è costituito dalla mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, quali, fra gli altri,le dimensioni della concessione, le dimensioni e i caratteri del soggettoconcessionario, l'epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suooggetto e il suo valore economico

- altresì è stato omesso di considerare l'interesse dei concessionari (per quantobeneficiari di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta inpassato), così come risulta negativo il vaglio della verifica di proporzionalità: illegislatore non avrebbe dato preferenza al "mezzo più mite" fra quelli idonei araggiungere lo scopo.

IV. La decisione della Consulta, se da un lato richiama e condivide principi generali
pacifici nella giurisprudenza costituzionale per quanto attiene alla impronta
"concorrenziale" secondo cui va traguardata la libertà di iniziativa economica di cui all'art.
41 Cost., dall'altro lato sembra discostarsene per quanto riguarda il penetrante vaglio del
principio di proporzionalità qui esercitato.

Ad esempio, con riguardo al divieto degli enti di certificazione di possedere quotedi capitale di società organismo di attestazione (cd SOA), la sentenza 22 maggio 2013, n.94, aveva ritenuto che la possibilità di raggiungere gli scopi con disposizione menoinvasiva dell'autonomia imprenditoriale non determinasse squilibrio di rilievocostituzionale alla luce del potiore principio della concorrenzialità. Sul piano delle conseguenze, come accennato la sentenza della Corte censura ilquomodo delle misure, e non la astratta possibilità di intervento normativo, donde la facoltà del legislatore di introdurre un nuova disciplina. D'altro canto, il rinvio al 31 dicembre 2022 della operatività dell'art. 177, come
disposto dall'art. 47 ter, d.l. 31 maggio 2021, n. 77 (convertito con modificazioni dalla l.
108/2021), sembra dare adeguato tempo per una riformulazione normativa.

Nondimeno, il compito del legislatore non risulta di immediata ed agevole soluzione avendo riguardo alle direttive impartite dalla Consulta.

Se, per quanto riguarda l'obiezione "dimensionale" della dismissione, è agevole ricavare la legittimità di un limite che riguardasse la "minor parte" delle attività concesse(per opposta simmetria al passaggio della Corte che censura la "parte più grande" delle attività), l'operazione è più ardua per gli altri aspetti.

Difatti, criteri e modalità che tengano conto, ad esempio, delle dimensioni della concessione, della sua epoca di assegnazione, o del suo oggetto, sembrano richiedere una analisi caso per caso da parte di ciascun singolo ente concedente.

Ciò aumenta la necessità di regolamentazione di dettaglio e, soprattutto, i tempidi successiva implementazione da parte dei singoli enti concedenti.

A tali difficoltà potranno facilmente aggiungersi quelle derivanti da rischi dicontenziosi giudiziari, dato che, per ciascun singolo atto regolatorio amministrativo,sarebbe astrattamente possibile la via dell'impugnativa davanti al Giudice Amministrativo.

*a cura di Fabio Andrea Bifulco

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