Penale

Confisca del denaro se c'è la prova che questo proviene dall'attività di spaccio

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di Giuseppe Amato


Nell'ipotesi di cui all'articolo 73, comma 5, del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, è possibile procedere alla confisca del denaro trovato in possesso dell'imputato solo in presenza dei presupposti di cui all'articolo 240, comma 1, del Cp, e non ai sensi dell'articolo 240-bis del Cp (già articolo 12-sexies del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992 n. 356). Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 45535/2019. Inoltre, secondo la sezione VI penale di Piazza Cavour, ai fini della confisca del denaro quale profitto del reato, ai sensi dell'articolo 240, comma 1, del Cp, è però necessaria la sussistenza del vincolo di pertinenzialità tra somma e reato (ciò che, nella specie, relativa a patteggiamento, la Corte ha escluso fosse stato adeguatamente motivato attraverso la generica affermazione circa il quantitativo di dosi rinvenute e l'assenza di mezzi leciti di sostentamento, non essendo stati del resto oggetto di contestazione specifici episodi di cessione che avrebbero consentito di configurare in modo tranquillante il nesso di pertinenzialità).

In termini, tra le tante, sezione IV, 18 luglio 2017, Kourkoura, laddove si è appunto affermato che, nell'ipotesi di cui all'articolo 73, comma 5, del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, è possibile procedere alla confisca del denaro trovato in possesso dell'imputato solo in presenza dei presupposti di cui all'articolo 240, comma 1, del codice penale, laddove si prevede la confisca delle cose che costituiscono profitto del reato (cioè il lucro o vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione di esso), e non ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356 (ora, articolo 240-bis del codice penale).

In questa prospettiva, è certamente ammessa la confisca del denaro che costituisca profitto del reato di vendita di sostanze stupefacenti, purché però il giudice, anche nel caso del patteggiamento, espliciti le ragioni per cui ritiene sussistenti i presupposti per adottarla, dovendosi escludere la confiscabilità delle somme rinvenute nella disponibilità del soggetto chiamato a rispondere del reato di detenzione a fine di vendita di sostanze stupefacenti, perché tali somme, anche ad ammettere che siano il provento di pregresso spaccio di sostanze stupefacenti, non costituiscono il profitto del reato di detenzione illecita, ma, appunto, di altre, precedenti condotte illecite di droga, estranee alla contestazione.

In definitiva: nel caso di condanna per il reato di cui all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, può costituire oggetto di confisca solo la somma di denaro che il giudice accerti essere stata ricavata dalla cessione della sostanza stupefacente: trattasi di confisca facoltativa perché il denaro medesimo rappresenta il profitto e non già il prezzo del reato. La confisca è consentita anche in caso di "patteggiamento", giacché, come è noto, l'attuale disciplina di tale istituto (cfr. articolo 445, comma 1, del Cpp, nel testo risultante dalle modifiche apportate con la legge 12 giugno 2003 n. 134) prevede l'applicabilità della misura di sicurezza della confisca in tutte le ipotesi previste dall'articolo 240 del Cp, ivi compresa la confisca facoltativa.

Per potere però disporre la confisca del denaro, occorre dimostrare che questo provenga dall'attività di spaccio. Il problema probatorio da affrontare per poter disporre la misura ablativa concerne, quindi, la dimostrazione: 1) del "collegamento diretto" della cosa con il reato e 2) del giudizio di pericolosità insito nel mantenimento di questa nella disponibilità del reo. Il collegamento diretto assume, in tutta evidenza, il significato di "provenienza diretta" della cosa (il denaro) dal reato. Occorre cioè dimostrare con certezza che il denaro costituisce effettivamente il profitto del reato: ergo, che trattasi, proprio del denaro ("quel denaro") che è stato, per esempio, consegnato dal tossicodipendente allo spacciatore per l'acquisto della droga ovvero del denaro ("quel denaro") che è stato consegnato al "corriere" in pagamento della partita di droga importata, ecc. Dimostrazione che non è sempre facile, vertendosi in ipotesi di un bene tipicamente fungibile.

Una volta soddisfatto tale onere motivazionale è molto più semplice la dimostrazione del presupposto della "pericolosità sociale" insito nel mantenimento del denaro nella disponibilità del reo, cioè del rischio di recidiva che ne conseguirebbe. Tale rischio è sostanzialmente in re ipsa , laddove si consideri la fortemente probabile destinazione illecita di tale denaro, in quanto volto a essere "ripulito" e/o comunque a essere reinvestito in altre attività, magari illecite.

Per completezza, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. È una regola cui quindi potrebbe legittimamente farsi ricorso quando risulti impraticabile soddisfare, proprio per la rilevata fungibilità del denaro, la prova di quel "collegamento diretto" della somma sequestrata all'imputato e l'attività criminosa, che è
conditio sine qua non del provvedimento ablativo di confisca facoltativa: peraltro, come evidenziato qui anche dalla Cassazione, non potrebbe farsi ricorso alla disciplina dell'articolo 240-bis del codice penale nel caso in cui la condanna o l'applicazione di pena riguardi il reato di cui al comma 5 dell'articolo 73 del Dpr n. 309 del 1990, espressamente eccettuato dall'ambito di applicazione della disposizione.

Cassazione –Sezione VI penale – Sentenza 8 novembre 2019 n. 45535

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