Civile

Consulta: «caro bollette», no all’inclusione delle accise nel contributo sugli extraprofitti energia

La sentenza 111/2024 della Corte costituzionale si è pronunciata sul contributo straordinario di solidarietà istituito per l’anno 2022

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di Francesco Machina Grifeo

È incostituzionale l’inclusione delle accise nel contributo straordinario di solidarietà del 2022 a carico delle imprese energetiche. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza 111/2024 depositata giovedì 27 giugno , con la quale ha esaminato le questioni sollevate dalle Corti di giustizia tributaria di Milano e di Roma in riferimento al contributo straordinario di solidarietà istituito per l’anno 2022 dall’art. 37 del decreto-legge n. 21 del 2022, dichiarando l’illegittimità del medesimo articolo ma solo nella parte in cui non esclude dalla base imponibile le accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive.

I ricorsi sono stati presentati da Engycalor Energia Calore; Kuwait Petroleum Italia; Eni spa; Eni Global Energy Markets; Esso Italiana contro il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulle richieste di rimborso degli importi corrisposti da ciascuna società «a titolo di “contributo straordinario contro il caro bollette” a carico delle imprese operanti nel settore energetico».

È stata così dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (convertito dalla legge 20 maggio 51/2022 e più volte modificato) nella parte in cui prevede che «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA,», anziché «[a]i fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive,».

Positiva la reazione di Unem (Unione Energie per la Mobilità). L’inclusione dell’accisa, si legge in un comunicato, è stata contestata da subito. Per Unem la previsione era illegittima e irragionevole poiché le accise sono commisurate alla quantità di prodotto venduto e non all’incremento di prezzo e, pertanto, non determinano in alcun modo un profitto per le Aziende. L’Unione ricorda che nel periodo di riferimento del contributo (ottobre 2020-aprile 2021 e ottobre 2021-aprile 2022) i volumi dei prodotti venduti hanno evidenziato un aumento di circa il 17% a seguito del termine del periodo pandemico, con un maggiore gettito accise stimato in oltre 2 miliardi di euro.

Tornando alla decisione, la Consulta afferma che anche «nella materia tributaria e persino quando, in momenti particolari, siano implicate straordinarie e preminenti esigenze della collettività», la Corte «è chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale».

Secondo la pronuncia «non appare arbitrario che il fortissimo aumento dei prezzi dei prodotti energetici nell’eccezionale situazione congiunturale» che si è verificata in conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina e lo specifico mercato in cui le imprese energetiche hanno operato siano stati identificati dal legislatore – al verificarsi di una serie di condizioni – come un indice rivelatore di ricchezza.

La sentenza ha precisato che sarebbe stato certamente fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti; al contrario l’aver mutuato le regole applicative di un’imposta indiretta come l’IVA non garantisce con altrettanta sicurezza il risultato di intercettare la maggiore ricchezza.

Tuttavia, erano in gioco circostanze straordinarie che hanno qualificato «in termini del tutto sui generis l’intervento normativo».

Da un lato, la situazione di crisi, che, se non fosse stata «affrontata rapidamente», avrebbe potuto «avere gravi effetti negativi sull’inflazione, sulla liquidità degli operatori di mercato e sull’economia nel suo complesso».

D’altro, la circostanza che, in quel particolare contesto, i dati desumibili dai saldi IVA erano gli unici disponibili e, quindi, i soli che avrebbero potuto essere considerati dal legislatore per intervenire tempestivamente a finanziare, con una nuova e temporanea imposta, l’insieme di interventi urgenti, a sostegno di famiglie e imprese, previsti dal d.l. n. 21 del 2022.

Non vi era, pertanto, la possibilità di riferirsi ai più adeguati dati rilevanti ai fini dell’IRES, perché sarebbe stato necessario, per intercettare la maggiore forza economica dell’anno 2022 (in cui si è verificata la prima impennata dei prezzi), attendere che le imprese provvedessero a chiudere i bilanci societari: l’ammontare degli utili, pertanto, avrebbe potuto essere contabilizzato solo dopo la conclusione dell’anno di imposta in quel momento in corso, e quindi nel 2023.

È solo tenendo conto del carattere del tutto particolare del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore, ovvero il riferimento ai dati relativi alla determinazione dell’imponibile dell’IVA, nonostante il loro oggettivo grado di approssimazione nell’intercettare la maggiore forza economica delle imprese energetiche.

Resta però fermo che la straordinarietà del momento e la temporaneità della imposizione non possono essere ritenute una giustificazione per l’introduzione di qualsiasi forma di imposizione fiscale.

Pertanto l’inclusione nella base imponibile delle accise versate allo Stato e indicate in fattura – che per alcuni soggetti «vanno ad aumentare, anche in misura considerevole, la base imponibile del contributo straordinario di solidarietà, senza che tale aumento possa in alcun modo dirsi rappresentativo di una maggiore ricchezza» –, compromette «radicalmente», su questo aspetto, la ragionevolezza della disposizione censurata.

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