Penale

Conti correnti, nodo-sequestro delle somme versate dopo i reati

Il massimario della Cassazione evidenzia un contrasto sulla confisca diretta nei reati tributari

di Antonio Iorio

Dubbi sulla possibilità di esecuzione del sequestro preventivo e della successiva confisca, sulle somme accreditate sui conti della società successivamente alla commissione di reati tributari. A sottolineare il contrasto interpretativo in seno alla Suprema Corte è l’Ufficio del Massimario in occasione dell’elaborazione degli orientamenti giurisprudenziali del 2022 della Cassazione.

L’articolo 12 bis del Dlgs 74/2000 prevede per la condanna per un reato tributario la confisca obbligatoria del profitto o del prezzo del reato anche nella forma per equivalente.

Negli illeciti tributari commessi da società e costituenti reato, di norma, il “beneficiario” della violazione è la società, ma chi risponde del delitto è la persona fisica (in genere, il rappresentante legale). Dal momento che l’autore del reato non consegue alcun profitto, negli anni, si è dibattuto, se sequestro diretto e successiva confisca potessero eseguirsi nei confronti della società ( soggetto terzo rispetto al reato), non potendosi eseguire nei confronti dell’ente (ma solo della persona fisica) una misura cautelare per equivalente.

In sostanza, si rischiava l’esclusione dell’aggressione patrimoniale nei confronti dell’effettivo beneficiario dell’evasione (la società) a discapito della persona fisica

Così negli anni la giurisprudenza di legittimità anche a sezioni unite ha ritenuto legittimo:

• il sequestro preventivo diretto del profitto nei confronti della società ma limitatamente ai conti bancari;

• la confisca per equivalente sui beni dell’autore del reato solo a seguito dell’impossibilità di effettuare la confisca diretta dei conti della società

Si è allora posto l’ulteriore problema se il sequestro diretto potesse riguardare tutte le disponibilità presenti sul conto societario al momento dell’esecuzione della misura o solo quelle giacenti all’atto della commissione del reato. Circostanza non irrilevante nei reati tributari poiché tra commissione del reato e esecuzione della misura possono trascorrere anche parecchi anni.

Le Sezioni Unite (con riferimento ad un reato non tributario), evidenziando che il prezzo o il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro che si confonde con le altre componenti del patrimonio del reo, perdendo quindi rilievo giuridico la sua identificabilità fisica, hanno ritenuto che ai fini della confisca diretta non occorre ricercare lo stesso numerario (le medesime banconote) conseguito dall’autore. Di conseguenza possono essere aggrediti anche altri attivi monetari confluiti successivamente nel patrimonio del reo, seppur a fronte di versamenti di origine lecita. Per i reati tributari va registrato un orientamento contrastante. Secondo la sentenza 11086/2022 non è possibile considerare profitto del reato tributario le somme di denaro affluite sul conto della società (nella specie in gestione commissariale) dopo la consumazione del reato, derivanti da un’operazione lecita e oggettivamente riscontrabile. Secondo altra sentenza (42616/2022), al contrario, l’illecito arricchimento conseguente al mancato esborso delle somme dovute in relazione all’obbligo tributario, permane nel patrimonio dell’ente che ha beneficiato dell’evasione, anche successivamente alla scadenza dell’adempimento e sino a che non venga, eventualmente, estinto il debito tributario.

A proposito di tale contrasto si ritiene che quando il reato tributario consente un “risparmio di spesa”, la società consegue effetti positivi nel proprio patrimonio anche successivamente alla data dell’illecito per cui ben si giustificherebbe la confisca diretta. E ciò a prescindere dalle eventuali modifiche che hanno interessato la società (gestione commissariale, ecc) in quanto il profitto illecito è “rimasto” comunque nelle casse societarie in termini di minore spesa.

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