Lavoro

Contratti a termine in agricoltura solo per le attività strettamente “stagionali”

La Cassazione, ordinanza n. 14236 depositata oggi, chiarisce che non si può superare il limite dei 36 mesi per i lavori collegati alle esigenze permanenti dell’attività stagionale (custodia, manutenzione ecc.)

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di Francesco Machina Grifeo

Stretta della Cassazione sui contratti a termine per i cd. stagionali in agricoltura. Per la Sezione lavoro, ordinanza n. 14236 depositata oggi, si deve infatti distinguere tra le attività effettivamente stagionali e quelle invece che devono comunque essere svolte per tutto l’anno, come per esempio i servizi di custodia e manutenzione. Ebbene in questa seconda ipotesi i contratti non possono essere a termine ma a tempo indeterminato. “Neppure la ciclicità dell’attività agricola – spiega la Corte - consente eccezioni alla disciplina dei contratti a termine, dovendosi ritenere che i lavori adibiti stabilmente a mansioni che rispondono ad esigenze permanenti dell’attività stagionale debbano essere dipendenti a tempo indeterminato”.

È stato così accolto il ricorso di un dipendente dell’Ente sviluppo agricolo (di seguito E.S.A.) contro la decisione della Corte d’appello di Palermo. Il lavoratore lamentava che dal 1987 al 2017 il suo rapporto di lavoro era stato regolato da una serie di contratti a termine reiterati più e più volte in maniera ritenuta illegittima. Per il giudice di secondo grado, tuttavia, il criterio della stagionalità giustificava la deroga alla normativa sul lavoro a termine nel settore dell’agricoltura.

Di diverso avviso la Cassazione che ricorda come le deroghe (articoli 5, co. 4 ter, del Dlgs n. 368 del 2001 e 21, co. 2, del Dlgs n. 81 del 2015) al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato è applicabile, anche nel settore dell’agricoltura, solamente quando i contratti riguardino le attività stagionali esplicitamente indicate dalla norma.

Non è perciò qualificabile come attività agricola stagionale “quella, idonea a perpetuarsi nel tempo, che non dipenda dall’ordinaria scansione temporale delle comuni incombenze attinenti alla detta attività agricola”. Infatti, “nell’ambito di attività imprenditoriali di carattere stagionale - prosegue il testo -, esistono necessità operative, sia pure di dimensioni limitate, che proseguono per tutto il corso dell’anno, come quelle di custodia, riparazione e manutenzione degli impianti e dei macchinari e, in genere, di preparazione alla nuova stagione piena, con la conseguenza che i lavoratori addetti stabilmente (ed oltre i tempi indicati nella normativa nazionale in tema di contratti a tempo determinato) a simili attività devono essere dipendenti a tempo indeterminato e non lavoratori stagionali, anche quando l’attività produttiva come tale, considerata nel suo complesso, abbia carattere stagionale”.

Inoltre, le prestazioni da eseguire e il carattere stagionale devono risultare dalla causale dei contratti. E in caso di contestazioni, “l’onere di provare che il lavoratore fosse addetto esclusivamente a tali attività stagionali o ad altre ad esse strettamente complementari o accessorie grava sul datore di lavoro”. Per tacere poi del fatto che nello specifico ESA è un ente non economico dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, come tale non qualificabile come imprenditore agricolo e dunque assoggettato alla disciplina del Dlgs n. 165/2001.

In definitiva, prosegue la decisione, il concetto di attività stagionale deve essere inteso “in senso rigoroso” e quindi comprensivo delle sole “situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)” (ordinanza n. 34561/2023), le quali sono aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte dall’impresa”. Ne deriva che “non solo grava sul datore di lavoro l’onere di dar prova del fatto che l’attività in concreto svolta dal lavoratore costituisca attività aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta e caratterizzata, appunto, dalla stagionalità, ma anche è inibita al datore la possibilità di adibire il lavoratore assunto a termine a mansioni che esorbitino dall’ambito della lavorazione stagionale”.

L’elenco delle attività stagionali (Dpr n. 1525/1963) è dunque da considerarsi tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica. E tale vincolo si riflette anche sulla contrattazione collettiva che deve elencare in modo specifico le attività caratterizzate da stagionalità.

La Corte territoriale avrebbe perciò dovuto procedere all’accertamento in concreto delle mansioni effettivamente espletate dal lavoratore.

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