Lavoro

Corte costituzionale: "identità di funzioni tra Gdp e togati", illegittimo escluderli dai rimborsi per la difesa in giudizio

"Considerata la sua primaria importanza costituzionale, anche al giudice di pace va garantita un'attività serena"

di Francesco Machina Grifeo

La sentenza n. 267 di oggi della Corte costituzionale costituisce un passaggio rilevante nella battaglia dei Giudici di pace (da una settimana in "agitazione permanente") per il riconoscimento del proprio status professionale.

Giudicando sulla legittimità di una norma che li escludeva dal rimborso delle spese di difesa in giudizio, la Consulta ha infatti affermato che nei giudizi sulla responsabilità civile, penale e amministrativa è irragionevole riconoscere il rimborso al solo giudice "togato", quale dipendente di un'amministrazione statale, e non anche al giudice di pace, in quanto funzionario onorario: considerata l'identità della funzione del giudicare - argomente la Corte -e la sua primaria importanza costituzionale, anche al giudice di pace va garantita un'attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici di pur infondate azioni di responsabilità.

È stato dunque dichiarato illegittimo l'articolo 18 del Dl n. 67 del 1997, convertito dalla legge n. 135 del 1997, là dove non prevede che il ministero della Giustizia rimborsi al giudice di pace le spese di difesa sostenute nei giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi per fatti di servizio e conclusisi con provvedimento di esclusione della responsabilità.

Le questioni erano state sollevate dal Tar del Lazio in un giudizio relativo alle spese di difesa sostenute da un giudice di pace in un procedimento penale nel quale egli era imputato di corruzione in atti giudiziari ma che era terminato con la sua assoluzione.

La Consulta richiama la decisione della Corte Ue (causa C-658/18, UX) secondo cui i Gdp «svolgono le loro funzioni nell'ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo», riportandone la figura alla nozione di «lavoratore a tempo determinato», ragion per cui le differenze di trattamento rispetto al magistrato professionale non possono essere giustificate dalla sola temporaneità dell'incarico, ma unicamente «dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni» . Ed è nell'ambito di tale valutazione che, per la Cgue, assume rilievo la circostanza che per i soli magistrati ordinari la nomina debba avvenire per concorso e che ad essi siano riservati i casi di maggiore complessità.

"La differente modalità di nomina - prosegue la Corte costituzionale -, il carattere non esclusivo dell'attività giurisdizionale svolta e il livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell'eterogeneità dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica "onoraria" del suo rapporto di servizio". "Questi tratti peculiari non incidono tuttavia sull'identità funzionale dei singoli atti che il giudice di pace compie nell'esercizio della funzione giurisdizionale, per quanto appunto rileva agli effetti del rimborso di cui alla norma censurata".

Del resto, continua la sentenza, la ratio dell'istituto, consistente nell'evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, "sussiste per l'attività giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell'ordinamento giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice onorario".

In questo senso, il beneficio del rimborso delle spese di patrocinio «attiene non al rapporto di impiego […] bensì al rapporto di servizio», trattandosi di un presidio della funzione, rispetto alla quale il profilo organico appare recessivo.

Nè si può trascurare, prosegue la decisione, che la posizione del giudice di pace appare "particolarmente significativa nei giudizi di rivalsa dello Stato a titolo di responsabilità civile", in quanto, la norma "non distingue il giudice di pace da quello professionale, entrambi chiamati a rispondere anche per negligenza inescusabile".

"Attesa l'identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale - conclude la Corte -, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice 'togato' e non anche al giudice di pace, mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l'esigenza di garantire un'attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità".

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