Il CommentoLavoro

Covid e infortuni sul lavoro: il rebus delle polizze private

Gli ultimi dati Inail nei primi otto mesi del 2020 hanno registrato <b>una diminuzione di circa 23%</b> rispetto ai primi 8 mesi del 2019<b/>

di Marco Rodolfi

 I dati relativi alle denunce degli infortuni sul lavoro presentate all'Inail nei primi 8 mesi del 2020 hanno registrato una diminuzione di circa 23% rispetto ai primi 8 mesi del 2019, ma un aumento di quelli con esito mortale (circa il 20% in più).Gli ultimi dati sugli infortuni sul lavoro

Tali dati sono stati ovviamente influenzati dall’infezione da Covid 19 in ambito lavorativo, nel senso che il calo di denunce è chiaramente dovuto all’interruzione forzata di ogni attività produttiva considerata non essenziale tra marzo e maggio e alle difficoltà incontrate dalle imprese nel riprendere la produzione terminato il periodo di lock-down. Mentre l’incremento dei decessi purtroppo è sempre legato alla pandemia, tenendo in particolar modo presente che nel settore della “Sanità ed assistenza sociale” si sono avuti incrementi di denunce tra il 450-500% tra marzo ed aprile.

 

Il quadro normativo in sintesi e i dubbi sollevati

E’ infatti noto come, con l’articolo 42, secondo comma, del Dl n.18 del 17 marzo 2020 (convertito poi nella legge n. 27 del 24 aprile 2020), il Legislatore abbia dettato una normativa di ispirazione previdenziale che ha previsto che "nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2), in occasione di lavoro” l'Inail “assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato". In pratica, l’infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro deve essere qualificata come infortunio sul lavoro. Tale disposizione, che “si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”, ha sollevato dubbi, perplessità e polemiche.

 I datori di lavoro, infatti, hanno subito fatto presente di non voler subire oltre al “danno” dovuto alle interruzioni ed alle difficoltà delle loro attività economiche anche la “beffa” di vedersi considerati responsabili (civilmente e penalmente) per le infezioni da Covid contratte dai lavoratori.

 

Le circolari Inail sul tema e profili di responsabilità

Sono allora intervenute due circolari da parte dell’Inail (la circolare n. 13 del 3 aprile 2020 e la circolare n. 22 del 20 maggio 2020) che hanno ribadito come: “Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio, si fonda in conclusione, su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio. Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro”.

 Il riconoscimento dell’infezione da Covid 19 come infortunio sul lavoro da parte dell’Inail, pertanto: “non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero.  Così come neanche in sede civile l’ammissione a tutela assicurativa di un evento di contagio potrebbe rilevare ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento”.

In definitiva: “la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, n. 33”.

In altre parole, e per essere ancora più chiari, vi è una totale: “indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo” rispetto a quello “giudiziario”.

 

Gli interventi contenuti nel decreto Liquidità

Alla luce delle perplessità che le organizzazioni dei datori di lavoro (pubblici e privati) continuavano comunque a manifestare è dovuto infine intervenire il Legislatore, con un’apposita norma (articolo 29-bis introdotto in sede di conversione del Dl Liquidità 8 aprile 2020 n. 23, convertito dalla legge 5 giugno 2020 n. 40: “Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19”), che ha previsto che: “1. Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

 

Lo scenario dopo la conversione del  Dl liquidità

E’ evidente che si dovrà attendere e monitorare l’evoluzione e l’interpretazione giurisprudenziale che dovrà conciliare il diritto con la realtà emergenziale.

Si ritiene tuttavia che non sarà per nulla facile per l’assicuratore sociale agire in regresso nei confronti dei datori di lavoro, così come per i lavoratori (e/o dei loro congiunti) fornire la prova della sussistenza di una responsabilità civile del datore di lavoro al fine di ottenere il riconoscimento di un danno differenziale, alla luce degli oneri probatori richiesti dalla normativa, anche sotto il profilo del nesso eziologico.

 Altro tema strettamente connesso al riconoscimento da parte del Legislatore dell’infezione da Covid19 come infortunio sul lavoro è quello della operatività o meno delle coperture assicurative coinvolte a diversa ragione nella materia.

 In particolare, in primo luogo, ci si chiede se, laddove l’infezione da Covid 19 sia riconosciuta come infortunio sul lavoro, operi o meno la polizza obbligatorie a copertura del rischio professionale del datore di lavoro (Rco).

In secondo luogo, se l’infezione da COVID 19 sia coperta o meno dalle polizze private "infortuni".

Allo stato, le opinioni della dottrina (sia giuridica che medico-legale) sono divergenti per quanto concerne l’operatività delle polizze private “infortuni”, mentre per quanto riguarda le polizze Rco l’opinione maggioritaria è per una loro operatività.