Civile

Covid, tra sanità e scuola sempre più liti tra Stato e Regioni

Il contenzioso sui poteri, innescato dalla riforma del Titolo V, in questi mesi ha investito anche i Tar

Antonello Cherchi e Marta Paris

Tra Stato e Regioni i rapporti da sempre non sono idilliaci, ma mai come in questi ultimi mesi si è avuto prova del continuo scontro sulle rispettive competenze. Un braccio di ferro su sanità, scuola, attività produttive e circolazione delle persone reso ancora più teso dalla drammatica situazione dell’emergenza sanitaria. Ci sono due indicatori a segnalarlo: da una parte, i ricorsi che continuano ad arrivare sui tavoli della Corte costituzionale e che in venti anni di riforma del Titolo V della Carta si sono mantenuti su livelli significativi, per quanto altalenanti, andando raramente sotto i cento all’anno; dall’altra, il contenzioso che in questi mesi si è generato davanti ai Tar, chiamati a dirimere gli effetti prodotti dalle ordinanze dei governatori o dai Dpcm statali.

La controriforma
Il caos attuale è addebitabile allo scarso dialogo tra Roma e i territori e al ginepraio di poteri tra lo Stato e le Regioni partorito dalla riforma del Titolo V del 2001, con la creazione delle «competenze concorrenti» nelle quali lo spazio d’azione è in condominio tra il Governo e le Regioni. Un quadro complicato in questi ultimi mesi dall’urgenza di aggredire la pandemia, a cui si aggiunge l’insofferenza, talvolta condita da protagonismo, nei confronti delle misure statali da parte di diversi governatori.
Di fondo, però, c’è il nodo della riforma di venti anni fa. Tant’è che anche di recente ha ripreso vigore l’idea di rimetterci mano. A inizio novembre c’è stato anche l’endorsement di Roberto Fico, presidente della Camera e terza carica dello Stato, nonché figura di punta del Movimento 5Stelle. Anche nei partiti della maggioranza se ne è parlato ed è riapparsa la proposta della «clausola di supremazia», che darebbe allo Stato il potere di legiferare anche su materie non di propria competenza, purché l’intervento sia giustificato dall’interesse nazionale o da situazioni particolari. Come potrebbe essere quella che stiamo vivendo. Però l’ipotesi della controriforma del Titolo V così come era riemersa si è inabissata, anche perché travolta dalle tante priorità anti-pandemia.

La conflittualità davanti alla Corte
Il problema, tuttavia, rimane. L’ultimo e recentissimo esempio è quello della legge della Valle d’Aosta sulla quale la Consulta si è pronunciata in via cautelare giovedì scorso, sospendendone gli effetti. Quell’impugnativa proposta dal Governo era una delle 105 presentate lo scorso anno davanti ai giudici costituzionali. Un numero non troppo diverso dai ricorsi del 2019 (117) e superiore al contenzioso del periodo 2016-2018, quando si è andati sotto le cento cause.
Dunque, il termometro della Corte continua a misurare un’alta conflittualità centro-periferia. Semmai, sarebbe da segnalare il fatto che nel 2020 la contrapposizione si è ulteriormente sbilanciata dalla parte dello Stato: da Roma, infatti, sono partite 95 impugnative contro le 10 presentate delle Regioni. Un dato che per quanto analogo a quello del 2018 - 11 ricorsi regionali a fronte, però, di 76 statali - potrebbe aver bisogno di ulteriori elaborazioni e conferme perché riferito all’anno scorso.

Il giudice amministrativo
Non è solo la Corte ad avere il polso del forte dissidio tra Stato e Regioni. Anzi, in questi ultimi mesi sono stati soprattutto i giudici amministrativi a essere chiamati in causa per dirimere le controversie. Lo stesso caso della Valle d’Aosta aveva avuto, prima che il Governo decidesse di sollevare questione di legittimità costituzionale, un prologo davanti al Tar. È, però, la natura degli atti normativi prodotti in questi mesi che spiega come mai siano stati soprattutto i tribunali amministrativi a dover scendere in campo. I governatori, infatti, hanno il più delle volte parlato attraverso ordinanze e tali provvvedimenti devono essere giudicati dai magistrati amministrativi. Stessa sorte per i Dpcm governativi. La Corte costituzionale, invece, decide sulle leggi.
Benché sia soprattutto il contenzioso davanti alla Consulta che misura la conflittualità innescata dal Titolo V, anche le cause presentate in questi mesi ai Tar danno il segno della contrapposizione tra Stato e Regioni. I giudici amministrativi sono, infatti, dovuti intervenire per sbrogliare - sarebbe più corretto dire per sospendere, perché finora si è trattato soprattutto di decisioni cautelari - questioni di compentenze concorrenti: scuola e sanità in primo luogo. Temi che si ritrovano anche nei ricorsi presentati dai privati cittadini (per esempio, comitati di genitori), come è stato per le pronunce dei Tar di Emilia Romagna, Lombardia e Puglia dei giorni scorsi sul rientro a scuola. Anche questi segnali del caos che regna sotto il Titolo V.

IL BRACCIO DI FERRO CENTRO-PERIFERIA
L'EVOLUZIONE DEI RICORSI DAL 2001 A OGGI

Marche
Il primo scontrosulle scuole chiuse

È stata la prima ad aprire il valzer delle ordinanze regionali nell’era Covid. Spostando dalle stanze di Palazzo della Consulta alle aule di un Tar il mini-contenzioso generato dalla pandemia e facendo registrare il primo punto a favore del Governo. Per contrastare la diffusione dell virus la regione Marche il 25 febbraio 2020 con un’ordinanza del presidente Luca Ceriscioli blocca le manifestazioni pubbliche e dispone la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e delle università con sedi sul territorio: insufficienti per il governatore il Dl 6/2020 e il Dpcm 23 febbraio adottati dall’Esecutivo. Il provvedimento viene subito impugnato dal Governo davanti al Tar Marche e il 27 febbraio il presidente del tribunale amministrativo dispone la sospensione dell’ordinanza, ritenendo fondata la richiesta dello Stato secondo cui «non sussistevano casi accertati di contagio nelle Marche» che potessero motivare il provvedimento. L’ordinanza evidenziava invece come presupposto «la prossimità del territorio marchigiano con la regione Emilia Romagna in cui sono stati rilevati casi confermati di contagio dal Covid-19». Il presupposto che risultasse «positiva almeno una persona» è infatti previsto dall’articolo 1 del decreto legge n. 6.

Calabria
Riapertura di bar e ristoranti bocciata

Le regole più morbide rispetto alle direttive del Governo sono costate una bocciatura alla Calabria. La regione il 29 aprile 2020, verso fine lockdown, vara un’ordinanza per riaprire ristoranti e bar con servizio al tavolo all’aperto. Provvedimento subito contestato dall’Esecutivo perché in contrasto con le normative nazionali, tanto da impugnare l’atto davanti al Tar. Un ricorso accolto dal tribunale amministrativo di Catanzaro che il 9 maggio annulla l’ordinanza facendo riabbassare le saracinesche. A spingere i giudici del capoluogo calabrese alla decisione la considerazione che il contrasto tra ordinanza e Dpcm «denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell'assetto di competenze del Titolo V». Oltretutto, per i giudici, il rischio epidemiologico «non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus» - posto a fondamento dell’ordinanza regionale - visto che «è ormai notorio che il rischio epidemiologico dipende anche da altri elementi» come la capacità di risposta del sistema sanitario regionale e l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate .

Piemonte
Sì alla misurazione della febbre in classe

È il Piemonte a riportare il primo successo in casa nella sfida allo Stato sull’emergenza. Il 9 settembre il presidente Alberto Cirio firma l’ordinanza che prevede la verifica della febbre degli alunni a scuola. La disposizione che, spiega la Regione, integra e dà più efficacia all’obbligo di ogni famiglia di misurare la temperatura al mattino ai figli prima di andare a scuola, così come previsto dalla legge dello Stato, finisce davanti al Tar. Il 15 settembre la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e il ministro della Salute Roberto Speranza impugnano il provvedimento ritenuto «intempestivo e inopportuno» e ne chiedono la sospensiva urgente ai giudici amministrativi. Due giorni dopo il tribunale amministrativo respinge la richiesta: le scuole continueranno a misurare la febbre agli studenti. La decisione di respingere la sospensiva si basa sulla motivazione che l’ordinanza regionale non sovverte quanto stabilito dallo Stato, ma lo integra. Per il tribunale il rischio sanitario era comunque tale da giustificare provvedimenti straordinari. Il provvedimento sulla misurazione della febbre in classe viene confermata in via definitiva dal Tar il 17 ottobre.

Sardegna
Test Covid a chi arriva sull’isola

L’11 settembre scorso il presidente della Regione Sardegna Christian Solinas emana l’ordinanza 43 che, tra l’altro, impone a partire dal 14 settembre test Covid obbligatori per chiunque arrivi nell’isola. Il provvedimento viene impugnato dal Governo davanti al Tar Sardegna. In particolare, si censurano i vincoli posti dall’ordinanza allo spostamento fra Regioni, in contrapposizione con le misure nazionali e con l’articolo 16 della Costituzione sulla libera circolazione delle persone. Il 17 settembre il presidente del Tar accoglie, in sede cautelare monocratica, il ricorso della Presidenza del consiglio e sospende in parte l’ordinanza, fissando la trattazione collegiale della causa, sempre in sede cautelare, al 7 ottobre. Il 6 ottobre Solinas con l’ordinanza 46 proroga l’ordinanza 43 dall’8 (il decreto monocratico di sospensione del 17 settembre cessa gli effetti il 7 ottobre, data dell’udienza collegiale) fino al 23 ottobre. Il 7 ottobre, però, il Tar Sardegna decide in camera di consiglio di confermare la sospensione di parte (articoli 10, 11 e 12) dell’ordinanza 43, facendo venir meno la proroga. In quella stessa sede il Tar fissa l’udienza pubblica di merito per il 20 gennaio prossimo.

Abruzzo
Marsilio decide sulla zona arancione

A inizio novembre il Governo decide di “colorare” l’Italia suddividendola in zone gialle, arancione e rosse a seconda della diffusione
del contagio. Il 6 dicembre scorso il presidente dell’Abruzzo, Marco Marsilio, firma l’ordinanza 106 per far passare la Regione da zona rossa ad arancione. Il che tra l’altro significa - anticipando le decisioni del Governo - la riapertura degli esercizi commerciali e delle scuole. Palazzo Chigi decide di impugnare davanti al Tar il provvedimento del governatore abruzzese. L’11 dicembre il presidente del Tar Abruzzo decide, in sede cautelare monocratica, di sospendere l’ordinanza di Marsilio: «sussiste - si legge nel decreto del Tar - un preciso interesse giuridicamente tutelato delle amministrazioni statali ricorrenti alla sospensione di un provvedimento che lede direttamente una prerogativa esclusivamente spettante alle amministrazioni statali in base a inequivocabili norme di legge». L’Abruzzo torna, pertanto, in zona rossa, ma solo per pochi giorni. L’11 dicembre, il giorno della decisione del Tar, il ministro della Salute, Roberto Speranza, firma un’ordinanza con la quale l’Abruzzo passa, a partire da due giorni dopo (l 13 dicembre), nella zona arancione.

Valle d’Aosta
Riaperture sospese dalla Consulta

È il caso più recente e anche quello che, a differenza degli altri, ha coinvolto la Corte costituzionale. Il 9 dicembre la Valle d’Aosta vara la legge 11 che prevede misure di contenimento del contagio meno rigide rispetto a quelle statali, con la riapertura delle attività produttive, commerciali e sportive (per esempio, gli impianti da sci). Il Governo impugna la legge davanti alla Consulta, lamentando l’invasione di competenze statali. Giovedì scorso la Consultadecide d’urgenza di accogliere l’istanza proposta in via cautelare da Palazzo Chigi. Secondo la Corte, la legge della Valle d’Aosta disciplina questioni di profilassi internazionale riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Inoltre aspettare di decidere nell’udienza di merito (fissata per il 23 febbraio prossimo) può comportare rischi per la salute pubblica.
La legge 11, però, aveva già generato l’ordinanza 552 firmata l’11 dicembre dal presidente della Regione, Eril Lavevaz, con la quale si dava seguito alle riaperture. Il Governo aveva chiesto al Tar della Valle d’Aosta di sospenderla, ma in quel caso la richiesta non è stata accolta. In tal senso ha deciso il 17 dicembre, in sede cautelare monocratica, il presidente del tribunale aostano, prefigurando un possibile ricorso del Governo alla Consulta sulla legge “madre”, come poi è stato.


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