Credito fiscale da Superbonus, controlli del fisco e diligenza del cessionario
Le ipotesi di irregolarità e i tre distinti “livelli” di verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria
Il Superbonus 110% ha costituito un’occasione di business, non solo per le imprese, ma anche per i soggetti interessati ad acquistare i crediti fiscali. Trattandosi, tuttavia, di materia fiscale è necessario avere un quadro indicativo degli scenari che potrebbero svelarsi ad esito delle operazioni di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate. Come noto, infatti, l’asseverazione tecnica ed il visto di conformità, propedeutici alla formazione del credito, non scongiurano il rischio di un’ulteriore verifica che l’Agenzia può operare su tre, distinti, “livelli”.
Il primo “livello” prevede il c.d. “controllo automatizzato” ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73, secondo il quale l’amministrazione finanziaria, avvalendosi di procedure automatizzate, sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, provvede a correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente riducendo i crediti d’imposta. Per tale primo “livello” di controllo, l’Ufficio è sottoposto al termine di decadenza di cui all’art. 25 del D.P.R. 602/73. Tale norma stabilisce che il concessionario della riscossione deve notificare la cartella di pagamento, a pena di decadenza, “entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi”.
Il secondo “livello” attiene al controllo formale ex art. 36 ter D.P.R. 600/73. L’articolo dispone che gli uffici periferici dell’amministrazione finanziaria possono procedere al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto di specifiche analisi del settore. Ad esito di tale controllo, gli uffici possono chiedere chiarimenti, documenti o elementi integrativi al contribuente e rideterminare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti. In tal caso, il concessionario della riscossione deve notificare la cartella di pagamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
Il terzo “livello” attiene al controllo sostanziale, nel caso in cui, ad esito dell’attività ispettiva, emergano ipotesi di inesistenza delle condizioni che portano alla maturazione del credito. In tal caso, le irregolarità emergeranno a seguito di un processo verbale di constatazione – c.d. “ PVC ” – redatto in contradittorio, ove saranno indicate tutte le operazioni poste in essere nel corso dell’attività stessa, ivi comprese le osservazioni e i rilievi del contribuente.
Tale ipotesi di crediti d’imposta “inesistenti” rappresenta senz’altro la fattispecie più grave, che si manifesta quando mancano uno o più elementi costitutivi del credito, non rilevabili in sede di controlli automatizzati o formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973, e si applica, non in ipotesi di “crediti non spettanti”, bensì quando “il credito non è reale” , come chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 34443/21. In tal caso, la sanzione applicata va da un minimo del 100 a un massimo del 200% del credito fiscale, oltre alla restituzione del capitale e gli interessi ed alle eventuali conseguenze penali.
La tutela del contribuente attengono quindi alla regolarità contabile e documentale, che possa scongiurare le ipotesi di irregolarità.
Anche in ipotesi di cessione del credito, l’acquirente dovrà, quindi, verificare il completo e corretto adempimento di tutte le operazioni propedeutiche al “caricamento” del credito sul cassetto fiscale ad opera dell’asseveratore tecnico e dell’intermediario abilitato alla trasmissione telematica della documentazione. A tale riguardo assume pertanto un ruolo fondamentale la due diligence volta al rilascio della famigerata “ comfort letter” . La diligenza del cessionario che si affida ad un soggetto terzo e qualificato, ne dimostrerà la buona fede e l’esclusione delle ipotesi di “colpa grave” o “dolo” che renderebbero il cessionario corresponsabile agli occhi del fisco. Sul punto il legislatore è infatti intervenuto con l’art. 1, lett. b) del D.L. n. 11/2023, che ha aggiunto il co. 6-bis all’art. 121 del DL 34/2020, al fine di escludere la responsabilità del cessionario che sia in possesso di un lungo set documentale.
Ma cosa succede invece in ipotesi di credito inesistente?
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3108 del 24 gennaio 2024, ha spiegato che chi ha in mano un credito illegale (che “non è reale” come chiarito dalla Cassazione n. 34443/21) può subirne il sequestro a prescindere dalla propria responsabilità nel reato, perché l’esclusione della responsabilità civile, o amministrativa, non introduce una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo.
Per evitare di acquistare un credito illegale sarà pertanto necessario che la due diligence “fiscale” venga affiancata da una verifica tecnica ed accurata sulla reale ed effettiva esecuzione delle opere dichiarate. In altri termini, una duplice verifica, sia tecnica che fiscale, circa la effettiva esistenza degli elementi costituitivi del credito. In tale ambito sarà quindi necessario verificare l’esistenza di documenti quali, a mero titolo esemplificativo: il titolo abilitativo, le fatture, il contratto d’appalto, i dati anagrafici e la sottoscrizione del committente e dell’appaltatore, la documentazione fotografica, ecc.
Solo con tale cautela l’acquirente potrà scongiurare – o in ogni caso, contestare – eventuali ipotesi di sequestro del credito acquisito.
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*A cura dell’Avv. Stefano Scalbi – dipartimento di diritto tributario di A.L. Assistenza Legale