Responsabilità

Danno biologico, "baréme" medico-legale per l'invalidità permanente

Per la Corte di cassazione, sentenza n. 27380 depositata oggi, è scorretto recuperare la rilevanza della componente dinamico-relazionale del danno attraverso la "personalizzazione"

di Francesco Machina Grifeo

Al danno biologico corrisponde una nozione unitaria, che tiene conto sia delle alterazioni nella fisiologia della persona riportate a seguito del sinistro sia delle conseguenze che queste alterazioni determinano nel compiere gli atti della vita quotidiana. La Corte di cassazione, sentenza n. 27380 depositata oggi, fa chiarezza sulle modalità di quantificazione del danno accogliendo (parzialmente) il ricorso degli eredi di una donna anziana investita da un'auto, che marciava a retromarcia, mentre camminava sul marciapiede.

La donna (poi deceduta in corso di causa per altre ragioni) oltre a un lungo ricovero aveva riportato postumi permanenti. In particolar modo gli esiti del trauma, definito "molto complesso", avevano comportato la perdita della capacità di stare in piedi e di camminare. Essi chiarisce oggi la Corte devono essere valutati unitariamente e confluire nella quantificazione della percentuale di invalidità permanente, che si fonda su un apprezzamento medico degli esiti fisici permanenti e sulle conseguenti limitazioni nella vita della persona.

In sostanza, con questa interessante decisione la Suprema corte si pone il seguente quesito: "Se le conseguenze anatomo-fisiologiche della lesione della salute costituiscano fattori di cui tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (i.p.), o della personalizzazione del risarcimento". La distinzione, proseguono i giudici, rileva non solo sotto il profilo teorico, ma nelle sue ricadute pratiche, perché:
- il grado di invalidità permanente si determina in base ai barémes, mentre la personalizzazione si effettua in via equitativa;
- l'individuazione del grado di i.p. è di competenza del medico legale, la personalizzazione è di competenza del giudice;
- il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità, mentre la personalizzazione non è governata da un criterio progressivo di proporzionalità con la gravità della lesione.

La Terza sezione civile risponde affermando quattro principi di diritto: "Il danno biologico è la lesione della integrità psico-fisica subita da una persona, comprensiva delle alterazioni fisio-psichiche, temporanee o permanenti, e della loro incidenza sullo svolgimento delle funzioni della vita e sugli aspetti personali dinamico-relazionali".

"Esso - prosegue - va accertato con criteri medico-legali e valutato in punti percentuali in base ad un accreditato "baréme" medico-legale in cui il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità".

Dunque: "Ai fini della sua unitaria liquidazione, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l'aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), e quello da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi)".

Inoltre: "Ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi".

Il giudice di secondo grado ha perciò sbagliato laddove ha recuperato la rilevanza della componente dinamico-relazionale del danno attraverso la "personalizzazione", così "appiattendola all'interno della liquidazione del danno morale, ovvero prendendo in considerazione la diminuita (in effetti, cessata) capacità di deambulazione della signora a causa dell'incidente solo come fonte di dolore e sofferenze psicologiche rilevanti".

Riepilogando, conclude la Cassazione, gli errori di diritto commessi dalla Corte d'appello consistono: nell'aver s cisso la componente cosiddetta statica del danno alla persona dalla sua componente dinamico-relazionale, ritenendo che quest'ultima possa essere apprezzata solo sotto un profilo di personalizzazione del danno; e nell'aver identificato la liquidazione della componente del danno morale all'interno della più ampia categoria del danno non patrimoniale alla salute, con la personalizzazione del danno biologico.

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