Responsabilità

Danno da demansionamento tassato se non viene specificata la natura del ristoro

L'applicabilità di un regime esente richiede che sia fornita la prova rigorosa, a carico del contribuente, circa la sussistenza di tutti i presupposti fattuali per il configurarsi di fattispecie risarcitorie del danno emergente

di Alberto De Luca, Claudia Cerbone*

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con ordinanza n. 8615 del 27 marzo 2023 è tornata a esaminare il delicato argomento del regime di tassazione applicabile al risarcimento dovuto in relazione al demansionamento subito dal lavoratore o dalla lavoratrice.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte è relativo ad un contenzioso tra l'Agenzia delle Entrate e una lavoratrice che, nell'ambito di un giudizio per demansionamento, ha raggiunto un accordo stragiudiziale con il datore di lavoro che le ha corrisposto una somma a titolo di "risarcimento del danno morale, professionale e biologico".

L'Agenzia delle Entrate, non essendoci distinzione tra le voci risarcitorie, ha applicato le trattenute Irpef sull'importo percepito dalla lavoratrice, la quale, dunque, ha agito in giudizio per richiederne il rimborso. La Commissione Tributaria Provinciale ha respinto il ricorso della lavoratrice mentre la Corte Territoriale Regionale ha riformato la decisione accogliento l'istanza contro l'Agenzia delle Entrate, dichiarando il regime di esenzione applicabile alle somme oggetto di esame.

In tema di tassazione dei redditi di lavoro o simili, il Testo unico delle imposte sui redditi n. 917/1986 ("TUIR") identifica la categoria dei redditi sostitutivi dei redditi di lavoro dipendente. L'art. 6, comma 2, del TUIR dispone che costituiscono redditi, della stessa categoria di quelli sostituiti e/o perduti, indipendentemente dal titolo che determina l'erogazione: (i) i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti; (ii) le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte.

La ratio del dettato normativo risiede nel doversi considerare imponibili solo quei compensi, emolumenti o risarcimenti che abbiano prodotto un arricchimento in capo al soggetto.

A tale scopo si distingue tra (i) lucro cessante, ossia il mancato guadagno al quale è riconosciuto l'appartenenza alla stessa categoria dei redditi sostituiti o perduti (ex art. 6, comma 2, TUIR); (ii) danno emergente, ossia la ricostituzione del mero patrimonio, cioè il risarcimento volto a coprire la perdita economica e non a sostituire il reddito non realizzato.

Pertanto, in virtù di tale principio sarebbe tassabile solo il danno da lucro cessante. Viceversa, seguendo questa logica, sarà necessario escludere da tassazione gli indennizzi a mero titolo di reintegrazione patrimoniale e, dunque, di danno emergente.

Ciò premesso, la Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che in caso di demansionamento occorre distinguere tra i danni dalla perdita di reddito, sicuramente tassabili, e quelli derivanti dall'impoverimento della capacità professionale (quali: la perdita di chances, il danno biologico medicalmente accertabile, il danno esistenziale, cioè il pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, il danno morale, il danno all'immagine ecc.) che viceversa non sono tassabili.

La Corte di Cassazione, dunque, ricorda che le somme che vengano riconosciute al fine di risarcire il danno inerente al mancato percepimento di un reddito da lavoro - presente o futuro - sono soggette alla tassazione del reddito che il risarcimento è preposto a sostituire od integrare (c.d. lucro cessante), in base al principio espresso dall'articolo 6, comma 2, TUIR mentre rimane esente solo quel risarcimento che è corrisposto per danni non patrimoniali, oppure per quei danni che non possono essere comunque assimilati ad un reddito, bensì al patrimonio (c.d. danno emergente).

Alla luce dei principi sopra richiamati, secondo i Giudici di legittimità, la mera e generica affermazione contenuta in un verbale di conciliazione circa il riconoscimento di un risarcimento del danno, non è sufficiente a configurare i presupposti di esenzione fiscale.

La Cassazione, infatti, ha confermato con la pronuncia in commento che l'applicabilità di un regime esente richiede che sia fornita la prova rigorosa, a carico del contribuente, dunque del lavoratore, circa la sussistenza di tutti i presupposti fattuali per il configurarsi, nel caso concreto, di fattispecie risarcitorie del danno emergente, in quanto tale reintegrativo di un danno non patrimoniale che, in quanto tale, non può costituire fonte di arricchimento per la parte risarcita.

Nel pronunciarsi in questi termini, la Cassazione invero conferma un orientamento molto consolidato non solo con riferimento all'applicabilità del regime di esenzione in commento, ma anche per quanto riguarda il regime probatorio e, infine, l'insufficienza del titolo convenzionalmente pattuito tra le parti per il riconoscimento di un'attribuzione economica a qualificarne il regime di imposizione fiscale (ma anche contributiva) applicabile.

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*A cura degli Avv.ti Alberto De Luca, Claudia Cerbone - De Luca & Partners

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