Danno alla salute, rendita vitalizia sganciata dalla ridotta aspettativa di vita
Lo ha chiarito la Cassazione, sentenza n. 31574 depositata oggi, affermando che l'eventuale danno parentale per la premorienza potrà essere liquidato in separata sede
Con una articolata decisione, la Terza Sezione civile della Cassazione (sentenza n. 31574 depositata oggi) detta i criteri per la trasformazione in "rendita vitalizia" del risarcimento per il danno alla salute. Esprimendo, contestualmente, il proprio favore per questa opzione tutte la volte in cui, a causa di fattori sociali, culturali o economici vi sia il concreto rischio di disperdere la somma liquidata una tantum. Ma soprattutto la Corte afferma che nella definizione della rendita non si deve tener conto della eventuale ridotta aspettativa di vita del danneggiato, in quanto in caso di premorienza potrà richiedersi l'ulteriore danno parentale da parte, per esempio, dei genitori. Con ciò tuttavia trascurando, così sembrerebbe almeno di primo acchito, l'alea, la difficoltà e i tempi collegati alla celebrazione di un nuovo giudizio.
Il caso era quello di un bambino di pochi mesi a cui non venne diagnosticata per tempo una forma di meningefalite grave, con conseguente evoluzione sfavorevole della malattia sfociata in uno stato vegetativo permanente. Il Tribunale di Milano su domanda dei genitori liquidò a titolo di danno la somma di 1,2 milioni di euro. La Corte di appello tramutò il risarcimento in una rendita vitalizia, ritenendo tale forma meglio rispondente alla esigenze del danneggiato, fissando l'importo in 1.283 euro mensili (utlizzando un coefficiente tratto Testo unico sull'imposta di registro, Dpr 131/1986).
Proposto ricorso, i genitori hanno tra l'altro sostenuto l'"immoralità" della scelta della rendita in quanto essa, a causa della ridotta speranza di vita del figlio, si sarebbe tradotta in una vantaggio per il colpevole. Nè per i ricorrenti veniva spiegato perché una "modesta" somma mensile fosse da preferirsi, considerata la necessità di una "assistenza specialistica continuativa".
Il ricorso (indicentale) però non convince gli ermellini. "Riparare il pregiudizio derivante da una grave lesione della salute attraverso la costituzione di una rendita quale forma privilegiata di risarcimento - si legge nella decisione - consente di cogliere appieno la proiezione diacronica di tutte le componenti del danno che, di giorno in giorno, il danneggiato avrebbe subito dal momento dell'evento in poi". "Ne consegue – insiste la Corte - che, ove venga (correttamente) adottata tale forma risarcitoria, il valore della rendita dovrà essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall'Istat, a nulla rilevando che, nel caso concreto, egli abbia speranza di sopravvivere solo per pochi anni, ovvero che non risulti oggettivamente possibile determinarne le speranze di sopravvivenza, qualora tale ridotta speranza di sopravvivenza sia conseguenza dell'illecito".
Il senso del ragionamento si fa palese nel successivo capoverso. "Nel caso in cui la minor durata della vita dovesse risultare conseguenza dell'evento lesivo - argomenta la Corte -, non va, per altro verso, dimenticato che il responsabile dell'unico evento lesivo ascrittogli sarà chiamato altresì a risarcire, iure proprio, il danno (parentale e patrimoniale) subìto dai genitori del minore, in relazione all'intero periodo di presumibile vita del minore". Ed è ciò, continua la decisione, che è accaduto nel caso di specie, dove la Corte milanese ha riconosciuto "a tale titolo, la complessiva somma di 331.920 euro per ciascuno dei genitori.
Ricapitolando, in caso di morte precoce del danneggiato, occorre distinguere:
a) se la morte anticipata è stata causata dalle lesioni, il responsabile sarà chiamato a risarcire, oltre al danno biologico e morale, possibilmente in forma di rendita, subito dal danneggiato nel periodo di tempo compreso tra il sinistro e la morte, anche, ed onnicomprensivamente, il danno iure proprio subito dai genitori, in relazione alla ridotta aspettativa di vita ed al presumibile periodo di vita del minore;
b) se la morte non è stata causata dalle lesioni, il responsabile dovrà risarcire il danno biologico subìto dal danneggiato valutato al tempo della commissione dell'illecito, oltre al danno da lesione del rapporto parentale in favore dei genitori.
Ne consegue - per la Sezione presieduta da Travaglino; Relatore Pellecchia - che il responsabile, versando una somma periodica al danneggiato, non lucra alcuno "sconto" sul risarcimento, in quanto: a) se la durata della vita del danneggiato è maggiore rispetto alla durata della vita media, sarà il danneggiato stesso a realizzare un lucro; b) se la durata della vita del danneggiato sarà, in concreto o presumibilmente, inferiore alla durata della vita media, e ciò a causa delle lesioni, il responsabile sarà tenuto a risarcire il danno sotto forma di rendita la cui base di calcolo si fonderà non sulla speranza di vita in concreto, bensì su quella media di un soggetto sano - oltre al danno parentale subito dai genitori in conseguenza dell'illecito; c) se il danneggiato avrà una vita di durata inferiore alla media, ma ciò avviene per cause del tutto indipendenti dalle lesioni, il responsabile che cessa di pagare la rendita non realizza alcun "vantaggio" patrimoniale, poiché, il risarcimento cessa perché cessa il danno.
Non solo, incalzano i giudici, nei casi di "macroinvalidità", o di lesioni subite da un minore per il quale una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa, ma anche in quello di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate (richiedenti asilo, disabili mentali o anche semplicemente macrolesi in profondo conflitto con i familiari), o ancora quando con riguardo alle qualità del debitore "sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare colpevolmente o incolpevolmente dispersi, in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso", il giudice, valutando comparativamente i pro ed i contro del caso concreto, "ben potrà, se non addirittura dovrà, privilegiare una liquidazione del danno in forma di rendita, come correttamente deciso dalla Corte d'appello".
La liquidazione in forma di rendita non sarà, viceversa, in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato.
Infine, la Corte stigmatizza la modalità di calcolo della rendita utilizzata dalla Corte di merito, affermando che in sede di rinvio il giudice dovrà procedere:
a) a quantificare il danno in somma capitale, avuto riguardo all'età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest'ultima risulti conseguenza dell'illecito;
b) ad individuare un coefficiente di capitalizzazione fondato su corrette basi attuariali, aggiornato e corrispondente all'età della vittima al momento dell'evento;
c) a dividere la somma capitale per il coefficiente di capitalizzazione;
d) a dividere ancora (eventualmente) per dodici il rateo annuo, se intenda liquidare una rendita mensile invece che annuale.
La scelta del coefficiente sarà "oggetto di valutazione discrezionale" da parte del giudice di merito, fermi i parametri poc'anzi indicati. Un utile riferimento "paranormativo", conclude la sentenza, "può essere rappresentato da quello a suo tempo suggerito per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell'Incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno - 1 luglio 1989 (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.).