Decreto 231, tra società e manager colpe distinte
La responsabilità dell’amministratore non si riflette sull’ente. La carenza organizzativa deve essere individuata con puntualità dal giudice
Non va confusa la responsabilità dell’amministratore con quella della società. E i giudici devono valutare con estrema attenzione la colpa di organizzazione prima di infliggere una sanzione fondata sulla violazione del decreto 231 del 2001.
La Cassazione, con la sentenza 570 della Quarta sezione, ha annullato la pronuncia della Corte di appello di Milano con la quale, tra l’altro, una società era stata condannata con una misura pecuniaria per violazione delle norme a tutela del lavoro.
Secondo quanto ricostruito, nel contesto di un cantiere per la realizzazione di lavori sulla tangenziale est di Milano, un lavoratore, mentre si trovava su un ponteggio collocato in galleria, in fase di smontaggio, veniva colpito da un asse di contenimento della gettata di cemento e perdeva l’equilibrio. L’assenza di sponde laterali del ponteggio provocava la caduta rovinosa dell’uomo, deceduto un’ora dopo l’evento. La società era stata ritenuta responsabile per il vantaggio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti da un’altra società e per non avere dotato gli stessi di adeguati strumenti di protezione individuale.
Per la Cassazione tuttavia, la motivazione della sentenza impugnata «offre un percorso argomentativo carente in punto di responsabilità dell’ente, per certi versi sovrapponendo e confondendo i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro dai profili di responsabilità da illecito amministrativo della società».
In particolare, questo appare evidente nella parte in cui la sentenza impugnata addebita alla società il fatto di non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel modello organizzativo, e di non avere predisposto a norma il ponteggio nonostante la sua corretta edificazione fosse prevista nel piano con le indicazioni per l’uso del ponteggio (Pimus), documento che afferma essere stato sul punto assolutamente disatteso: «profili colposi ascrivibili all'amministratore della società, quale datore di lavoro tenuto al rispetto delle norme prevenzionistiche, ma non per questo automaticamente addebitabili all’ente in quanto tale».
A pesare infatti e a dovere essere adeguatamente motivate sono non tanto le colpe ascrivibili individualmente, quanto piuttosto le carenze del modello organizzativo dell’ente. I giudici di merito invece hanno fondato la responsabilità amministrativa della società sulla genericità e inadeguatezza del modello organizzativo, senza tuttavia fornire una dimostrazione dell’esistenza di una colpa di organizzazione.
In questa prospettiva, «l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica, quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo».