Civile

Design industriale, non è plagio ispirarsi a un allestimento artistico

La Cassazione, ordinanza n. 11413 depositata oggi, afferma che lampada Castiglioni “1954” non è un plagio di quanto esposto alla Triennale

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

La lampada “1954” realizzata da un nipote di Achille e Pier Giacomo Castiglioni non costituisce plagio di quanto realizzato dai due geniali designer italiani in occasione dell’allestimento della X Triennale di Milano (nel 1954). È dunque legittima la sua produzione industriale e messa in commercio da parte di una azienda del settore. La Cassazione, ordinanza n. 11413 depositata oggi, chiude la querelle tra due cugini Castiglione, figlia e nipote dei due geniali fratelli (e la S.a.s. produttrice), affermando che l’ideazione artistica e la relativa tutela non riguardano il “corpo illuminante in sé e per sé”, bensì “il suo utilizzo quale strumento di costruzione dello spazio espositivo”.

Secondo il Tribunale che aveva ordinato il ritiro dal commercio delle lampade, “l’apporto creativo e il valore artistico si ravvisavano anche nella sola lampada, estrapolata cioè dal contesto del più ampio allestimento ove risultava inserita”. In quanto la lampada “era annoverabile tra le espressioni più rilevanti delle concezioni progettuali del design”.

La Corte di appello aveva poi ribaltato il verdetto affermando che il carattere creativo dell’opera “potesse e dovesse essere riconosciuto al complessivo allestimento realizzato dai fratelli Castiglioni…, e non già alla singola lampada che di detto allestimento costituiva una componente”. Del resto, aggiungeva, i riconoscimenti “avevano sempre fatto riferimento all’allestimento nel suo complesso” che era connotato dalla presenza di decine di ombrelli luminosi e dalla scelta espositiva di porre i 150 oggetti di design su sottostanti pedane dal colore scuro, per orientare l’attenzione dell’osservatore. Né poteva essere sottovalutata la “rilevante differenza funzionale” (faretto illuminante posto all’esterno della lampada nella scenografia della Triennale, e corpo illuminante interno al telo nella lampada in questione), che “lungi dal costituire un elemento irrilevante, appariva tale da escludere in radice la stessa ipotesi di plagio”.

La Prima sezione civile, dopo una ricostruzione giurisprudenziale, conferma che il carattere creativo dell’opera “debba essere riconosciuto al complessivo allestimento e non alla lampada, avulsa dallo stesso allestimento che caratterizzava l’opera esposta alla triennale del 1954”.

“La protezione del diritto d’autore – si legge nella decisione - postula il requisito dell’originalità e della creatività, consistente non già nell’idea che è alla base della sua realizzazione, ma nella forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, presupponendo che l’opera rifletta la personalità del suo autore, manifestando le sue scelte libere e creative; la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione”.

Per la Cassazione la percezione dell’opera si è consolidata nella collettività e, in particolare, negli ambienti culturali, “nella sua funzione scenografica”, mentre il “rilievo iconico della stessa” non è da attribuire “al corpo illuminante in sé e per sé, bensì al suo utilizzo quale strumento di costruzione dello spazio espositivo, ridotto ad un contenitore buio, di cui resta solo la dimensione orizzontale, spezzata dalle sequenze articolate di grandi pedane”.

Né, infine, la mancata destinazione della lampada alla produzione seriale costituisce un elemento rilevante, considerato che la destinazione dell’opera “non era mai stata quella della produzione seriale, ma solo quella dell’utilizzo quale sfondo scenografico”.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©