Direttiva Copyright ed equo compenso agli editori, il TAR condivide le obiezioni di Meta
La parola ora alla Corte di Giustizia UE
Con la recentissima sentenza n. 18790/2023 , il TAR Lazio ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di valutare se l’Italia abbia correttamente implementato l’art. 15 della Direttiva UE n. 790/2019 (“Direttiva Copyright”).
Come noto, la norma europea riconosce agli editori il diritto di autorizzare la riproduzione e la messa a disposizione online delle loro pubblicazioni giornalistiche da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione, senza prevedere però alcuna remunerazione obbligatoria in favore degli editori.
Ai fini del recepimento della suddetta disposizione, in Italia è stata introdotta una nuova norma nella Legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/1941), l’art. 43bis, che oltre al diritto di riproduzione e messa a disposizione contemplato dalla Direttiva Copyright attribuisce agli editori anche il diritto di ottenere una remunerazione (c.d. “ equo compenso ”), introducendo altresì un meccanismo destinato a trovare applicazione laddove le parti non si dovessero accordare sull’entità della stessa; in tale ipotesi, ciascuna parte può rivolgersi all’AGCOM affinché ne determini l’importo sulla base di criteri stabiliti dalla stessa Autorità in un’apposita delibera (la delibera n. 3/23/CONS).
La sentenza con cui il TAR Lazio ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia Europea è stata emessa nel corso di un giudizio proposto da Meta (società madre di Facebook e Instagram) che aveva appunto adito il Tribunale amministrativo per l’annullamento della delibera n. 3/23/CONS dell’AGCOM, ritenendo che la stessa violasse il divieto di gold plating, volto ad impedire l’imposizione agli operatori economici di oneri ulteriori rispetto a quelli previsti dalle direttive europee.
Secondo Meta, la norma nazionale avrebbe introdotto un obbligo di negoziare un equo compenso che non troverebbe riscontro nella Direttiva Copyright e che limiterebbe significativamente la libertà contrattuale degli operatori economici.
Nel pronunciarsi sul ricorso di Meta, il TAR Lazio ha adottato un provvedimento molto critico dell’art. 43bis della Legge sul diritto d’Autore, sottolineandone il carattere fortemente squilibrato rispetto alla Direttiva Copyright. Non solo: conferendo all’AGCOM poteri anche di natura decisoria, la norma italiana sarebbe suscettibile di compromettere anche il principio di libertà nell’esplicazione del diritto di iniziativa economica.
Il TAR Lazio ha così chiesto alla Corte di Giustizia Europea se l’art. 15 della Direttiva Copyright osti all’introduzione di disposizioni nazionali che prevedano obblighi di remunerazione, di negoziazione con gli editori e che inoltre conferiscano all’AGCOM poteri di vigilanza, decisori, dispositivi e sanzionatori, anche alla luce dei principi di libertà d’impresa e di proporzionalità.
Sebbene appaia arduo negare che la disposizione italiana costituisca una “forzatura” della normativa europea, occorre tuttavia ricordare le ragioni che hanno reso necessario l’intervento del legislatore europeo sul tema, su tutte l’esigenza di correggere lo squilibrio fra autori ed editori, da un lato, e i prestatori di servizi delle società dell’informazione dall’altro.
La rivoluzione delle modalità di consumazione dell’informazione ha infatti danneggiato gli editori che da tempo assistono ad un successo della diffusione online delle notizie in grado di aumentare il traffico di utenti sulle piattaforme digitali e da cui, tuttavia, non derivano maggiori ricavi per le testate tradizionali.
Proprio la condivisione di tali ragioni di fondo ha determinato in Francia una peculiare evoluzione normativa e amministrativa conclusasi prima del recepimento della Direttiva Copyright in Italia.
In Francia è stata infatti introdotta una norma di recepimento particolarmente aderente al testo della Direttiva Copyright.
In considerazione di tale disciplina, Google, temendo che gli editori a fronte dell’introduzione di un nuovo diritto avrebbero preteso una remunerazione, ha annunciato che non avrebbe più pubblicato estratti di articoli giornalistici a meno che non fosse stata autorizzata a farlo gratuitamente.
A fronte di questa zero-price policy, è intervenuta l’Antitrust francese che ha qualificato la condotta di Google come abuso di posizione dominante e gli ha imposto - con una decisione confermata anche dalla Corte d’Appello di Parigi - l’obbligo di negoziare il corrispettivo dovuto agli editori.
Percorrendo strade diverse, dunque, Francia e Italia sono pervenute - seppure in tempi diversi - allo stesso risultato, con la sola differenza che oltralpe è stato necessario un provvedimento dell’Antitrust per introdurre l’obbligo di negoziare un equo compenso in favore degli editori, mentre in Italia facendo tesoro proprio dell’esperienza francese si è scelto di includere tale obbligo direttamente nel testo dell’art. 43bis della Legge sul diritto d’autore.
Alla luce del rinvio operato dal TAR Lazio sarà interessante analizzare le riflessioni della Corte di Giustizia Europea, chiamata ad una sentenza determinante non solo per gli Stati membri che ancora non hanno recepito la Direttiva Copyright, ma anche per quelli che lo hanno già fatto e che, come la Francia all’esito di un rilevante intervento giurisprudenziale, sono pervenuti alle medesime conclusioni del legislatore italiano oggi messe in discussione dal TAR Lazio.
______
*A cura di Edoardo Cesarini, Associate GR Legal