Dirigenti pubblici, il parere del Comitato dei garanti non serve per gli addebiti disciplinari
Nel rapporto di lavoro dirigenziale, il potere di recesso del datore di lavoro è condizionato al parere obbligatorio del Comitato dei garanti soltanto nel caso in cui l'addebito contestato sia riconducibile alla responsabilità dirigenziale, e non quando si tratti di violazione integrante una mera responsabilità disciplinare. In quest'ultimo caso, infatti, la mancata formulazione del parere non incide sulla validità della sanzione. Questo è quanto affermato dalla Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 32258, depositata ieri, con la quale i giudici di legittimità hanno chiarito altresì che il termine entro il quale il suddetto parere deve essere emanato è improrogabile e non è soggetto a sospensione feriale.
Il caso - La vicenda trae origine da un procedimento disciplinare instaurato nei confronti di un dirigente non medico, avviato da parte del Policlinico Umberto I di Roma, nelle vesti di datore di lavoro, a seguito della contestazione di "violazione di direttive" e conclusosi con il recesso del rapporto dirigenziale. L'Azienda ospedaliera era arrivata a tale conclusione dopo aver richiesto, come previsto dal Ccnl per la dirigenza non medica del Ssn, il parere del Comitato dei garanti, parere che però veniva emanato oltre il termine di 60 giorni previsto dalla contrattazione collettiva, quando ormai era già stata disposta la risoluzione del rapporto. Tale incongruenza nel rispetto dei termini diveniva così l'appiglio per il dirigente per impugnare il provvedimento. In sostanza, la mancata osservanza del termine da parte dell'organo, secondo il dirigente, dipendeva dalla sospensione dei termini nel periodo feriale, compreso tra il 1° agosto e il 15 settembre, come previsto dallo stesso regolamento di funzionamento del Comitato dei garanti, sicché la risoluzione doveva considerarsi illegittima per violazione degli articoli 21 e 22 del Dlgs n. 165/2001, relativi proprio alla responsabilità dirigenziale.
La differenza tra responsabilità dirigenziale e disciplinare - Dopo l'alternarsi dei verdetti di merito, il caso arriva in Cassazione dove i giudici di legittimità optano per la posizione dell'Azienda ospedaliera. I giudici di legittimità tagliano corto sul tema del corretto computo dei termini, sostenendo che sul punto la contrattazione collettiva prevede un termine obbligatorio e improrogabile, che non può essere modificato da un mero regolamento di funzionamento dello stesso organo, con la conseguenza che non può ritenersi applicabile la sospensione feriale.
Ciò posto, per il Collegio il tema giuridico principale della vicenda sta nella differenza tra responsabilità dirigenziale e disciplinare. La Suprema corte, infatti, ricorda come il parere del Comitato dei garanti condiziona la validità del recesso dal rapporto di lavoro solo se si tratta di responsabilità dirigenziale e non anche se la responsabilità del dirigente è di tipo disciplinare. Mentre quest'ultima presuppone «il colpevole inadempimento di obblighi che gravano sul prestatore, rilevante in sé a prescindere dall'incidenza sui risultati dell'attività amministrativa e della gestione», la responsabilità dirigenziale, invece, «è sempre strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e persegue la finalità di consentire la rimozione tempestiva del dirigente rivelatosi inidoneo alla funzione». Pertanto, solo per questa si ritiene necessario il coinvolgimento del Comitato dei garanti.
Per capire poi quando si è di fronte all'una o all'altra responsabilità, sottolinea il Collegio, è necessario far riferimento alla «verifica complessiva dei risultati», che porterà ad affermare la responsabilità dirigenziale qualora la violazione della direttiva «abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta». Nel caso di specie, notano i giudici di legittimità, di fronte alla contestata "violazione di direttive", i giudici di merito non hanno verificato se si è trattato di violazione riconducibile all'uno o all'altro tipo di responsabilità, o ad una commistione di entrambe, dipendendo da tale valutazione l'incidenza della mancata formulazione del parere.
Corte di cassazione – Sezione lavoro – Sentenza 10 dicembre 2019 n. 32258