Lavoro

Dirigenti, troppi recessi fanno scattare il divieto

Il Tribunale di Milano (sentenza del 2 luglio) ha concluso la complessa vicenda che ha visto coinvolti alcuni dirigenti aziendali.

di Giampiero Falasca

Se un datore di lavoro licenzia più di quattro dirigenti nell’arco di 120 giorni, si applicano le regole sui recessi collettivi, compresa quella che vieta di avviare tali procedure durante la pandemia: il requisito del numero si considera raggiunto anche se il licenziamento, dopo la sua comunicazione formale, è stato revocato e convertito in una risoluzione consensuale del rapporto. Con l’affermazione di questo principio, il Tribunale di Milano (sentenza del 2 luglio) ha concluso la complessa vicenda che ha visto coinvolti alcuni dirigenti aziendali.

Un datore di lavoro ha licenziato un dirigente per soppressione della posizione lavorativa; scelta, questa, considerata legittima dalla maggioranza della giurisprudenza, che non ritiene applicabile il divieto di licenziamento al personale dirigenziale.

Tuttavia tale dirigente ha impugnato il recesso, sostenendo che, nell’arco di due mesi, coincidenti con lo stesso periodo in cui era stato cessato il suo rapporto, la società aveva licenziato – adducendo gli stessi motivi oggettivi - altri quattro dirigenti, facendo ricadere il proprio licenziamento (e quello degli altri) nella sfera dei recessi collettivi per avvenuto superamento della soglia che determina l’applicazione della legge 223/1991.

L’azienda si è difesa sostenendo che gli altri recessi, quelli ulteriori rispetto a quello del ricorrente, non potevano essere conteggiati ai fini del superamento della soglia che fa scattare l’obbligo di seguire la procedura collettiva, in quanto, dopo essere stati intimati, erano stati revocati con ripristino del rapporto di lavoro e, successivamente, erano sfociati in una risoluzione consensuale ratificata in sede protetta.

Il Tribunale ha accolto la tesi del lavoratore, ritenendo che la revoca dei licenziamenti sia del tutto irrilevante ai fini del computo dei recessi che fanno scattare l’obbligo di applicare le norme sui recessi collettivi; infatti, l’articolo 24 della legge 223/1991 è chiaro nello statuire che rientrano nella procedura collettiva tutti i recessi inclusi in un certo arco temporale. E nella nozione di licenziamento, ricorda la sentenza, rientra ogni atto da cui emerge la «volontà del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro» (Corte di giustizia europea, sentenza C - 188/03 del 27 gennaio 2005).

Sulla base di questo principio, osserva il Tribunale, ai fini del requisito numerico che fa scattare l’obbligo di procedura collettiva, vanno calcolati tutti gli atti da cui emerge apertamente la volontà di porre fine ai rapporti di lavoro, senza che abbia rilevanza l’eventuale e successiva revoca degli stessi.

La sussistenza della fattispecie di licenziamento collettivo rende applicabile, conclude la sentenza, il divieto di licenziamento fissato dall’articolo 46 del Dl 18/2020 e ripetutamente prorogato, che non consente l’avvio di procedure secondo la 223/1991, anche ove includano solo dirigenti.

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