Lavoro

Disabili gravi, la Consulta deciderà sul rilievo del coniuge di fatto come caregiver ante 2022

Il diritto di sposarsi va distinto da quello a una vita familiare, dove rileva comunque l’esistenza di una comunità degli affetti che ha avuto pieno riconoscimento dalla modifica recente della categoria degli aventi diritto al congedo

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di Paola Rossi

La sezione Lavoro della Cassazione ha ritenuto rilevante la questione di costituzionalità sull’esclusione - fino alla novella del 2022 - del coniuge di fatto dal novero dei beneficiari del congedo straordinario per la cura e l’assistenza del disabile grave.

Nel rinvio operato alla Corte costituzionale i giudici di legittimità - con la sentenza n. 30785/2024 - pongono al centro non solo l’evidente discriminazione dei conviventi more uxorio rispetto ai coniugi, ma anche il mancato rispetto del diritto del disabile alla vita familiare nel negare rilevanza alla comunità degli affetti in cui egli vive. Il caso de quo deriva dalla domanda rigettata dall’Inps per l’ottenimento del congedo straordinario da parte di un convivente more uxorio, poi riconosciuto dai giudici di merito con decisione impugnata in sede di legittimità sfociata nel rinvio pregiudiziale costituzionale.

I diritti “in gioco”

La norma controversa è la versione originaria del comma 5 dell’articolo 42 del Dlgs 151/2001 dove non include nel novero dei soggetti beneficiari del congedo previsto dalla legge 104 il convivente more uxorio del familiare con disabilità grave. Infatti, solo con la modifica normativa al coniuge convivente sono stati equiparati la parte di un’unione civile (di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76) e anche il convivente di fatto. La modifica ampliativa della platea dei cosiddetti caregiver determina a contrario l’inaccoglibilità da parte dell’Inps della domanda proposta ante novella del 2022, dal coniuge di fatto. L’adeguamento normativo che tiene conto della “nozione evolutiva” di vita familiare intesa come libera formazione di una comunità degli affetti discende dall’applicazione della cosiddetta legge Cirinnà la 76/2016 che ha regolato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato le convivenze. Un necessario intervento del Legislatore che, anche alla luce dell’attività interpretativa dei giudici nazionali e sovranazionali, ha tenuto conto dell’evoluzione della società e della libera scelta di convivere senza sposarsi dando pari diritti in diverse materie tanto ai coniugi legali quanto a quelli di fatto.

La stessa Cedu afferma il diritto a sposarsi separatamente dal diritto al rispetto della vita familiare. Da cui il rilievo che deve essere dato a fini di non discriminazione alla cosiddetta “convivenza di fatto” che è in concreto capace di corrispondere alle esigenze di realizzazione dei fondamentali bisogni di cura e protezione della persona disabile grave al pari del rapporto coniugale.

La necessità del rinvio costituzionale

Quindi, in relazione alla normativa applicabile nel caso concreto ratione temporis - e che i giudici non possono estendere applicando la legge - non risulta un rilievo autonomo della famiglia di fatto, ma solo un costante e progressivo riconoscimento del catalogo dei diritti del convivente di fatto in un contesto in cui, come rilevato dalla stessa Cassazione, la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società a cui si affianca un corrispondente accresciuto riconoscimento.

La modifica intervenuta con il Dlgs 105/2022 attuativo della direttiva Ue 2019/1158 (in armonia con le novità introdotte dalla legge n. 76 del 2016) fa emergere che in nessun passaggio la direttiva offre riferimenti idonei che consentano all’interprete della legge nazionale di armonizzare illimitatamente e indefinitamente, cioè da epoca antecedente la novella, la tutela del prestatore di cura e assistenza nella convivenza di fatto e ad equiparare il convivente di fatto al coniuge e alla parte di un’unione civile.

Conclude così la Cassazione civile affermando che non vi è dunque, nell’ordinamento, alcuna fonte normativa primaria che, per il convivente, rechi disposizione analoga a quella introdotta dal Legislatore del 2016 (legge Cirinnà) che ha esteso a ognuna delle parti dell’unione civile, tra persone dello stesso sesso, tutte le disposizioni contenenti le parole «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrenti in leggi, regolamenti, atti amministrativi o contratti collettivi.

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