Lavoro

Divieto di licenziamento anche per la sopravvenuta inidoneità fisica

Commento a sentenza Tribunale di Ravenna 7 gennaio 2021: nullità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione comminato in vigenza del divieto generale disposto del D.L. n. 18 del 2020 c.d. "Cura Italia"

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di Paolo Patrizio*

La sentenza meglio in oggetto in menzione, con la quale il Tribunale di Ravenna, lo scorso 07 gennaio 2021, ha accolto il ricorso promosso dal lavoratore, condannando la società resistente alla piena reintegra del dipendente licenziato, ci consente di analizzare, se pure in via sintetica e per flash argomentativi, il tema del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione comminato in vigenza del divieto generale disposto dal D.L. n. 18 del 2020 c.d. "Cura Italia", convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2020.

La fattispecie in esame, posta al vaglio della competente Autorità Giudiziaria, trae infatti origine dall'impugnativa di licenziamento promossa da un dipendente di una azienda emiliana, raggiunto, in data 30 aprile 2020 e, dunque, nel pieno del primo lockdown nazionale adottato per contrastare l'emergenza pandemica da Covid-19, dalla decisione datoriale di effettiva risoluzione della vicenda lavorativa, in conseguenza dell'appreso giudizio di inidoneità al lavoro pronunciato dal medico competente.

Ritenuta la nullità del comminato licenziamento in quanto adottato in contrasto con il divieto assoluto introdotto dall'art. 46 del D.L. 18/2020 come convertito e modificato, che ha sancito il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, il dipendente attinto dalla decisione datoriale ha, quindi, immediatamente sottoposto la questione al vaglio della competente Autorità Giudiziaria, invocando la condanna della datrice alla immediata reintegra nel posto di lavoro, in uno al pagamento dell'indennità di legge non inferiore alle cinque mensilità e la copertura contributiva per l'intero periodo decorrente dalla data di licenziamento a quella del rientro in azienda.

Ebbene, il Tribunale ravvenate, all'esito della compiuta disamina delle argomentazioni svolte dalla parti costituite in giudizio, ha ritenuto di poter accogliere la domanda del ricorrente, respingendo la tesi difensiva evidenziata dalla società datrice di lavoro, la quale contestava in radice la possibilità di ricomprendere la fattispecie del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore nell'ambito della moratoria stabilita dalla normativa emergenziale scaturita dalla pandemia da COVID-19, stante la diversità di ratio sottesa alla previsione imperativa posta dal dettato legislativo in menzione.

In particolare, l'assunto datoriale si fondava sulla doppia circostanza della esclusione, per un verso, della tipologia del licenziamento in esame dal novero dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (sul presupposto che lo stesso non avrebbe la natura di licenziamento economico in senso stretto, siccome sconnesso da qualsivoglia esigenza di soppressione del posto di lavoro o ridimensionamento della società, quali conseguenze delle misure restrittive adottate dal Governo per fronteggiare l'epidemia in corso) e, per altro verso, sulla eccessiva, illogica ed indiscriminata compromissione dell'art. 41 Cost., in quanto il divieto emergenziale che impone al datore di non procedere al licenziamento del personale in periodo pandemico non troverebbe una propria giustificazione, in ossequio ai principi di proporzionalità ed adeguatezza, in ipotesi di licenziamento, come quello sub iudice, non strettamente connesso all'impatto delle misure restrittive assunte contro la pandemia, visto che il lavoratore, a prescindere dal lockdown, non avrebbe potuto comunque lavorare.

Senonchè, di contrario avviso si è rivelato il Giudice del lavoro emiliano, il quale ha evidenziato e motivato la ritenuta ricomprensione del licenziamento per sopravvenuta inabilità, nell'ambito applicativo del blocco dei licenziamento per G.M.O. di cui all'art. 46.

In particolare, l'estensore della sentenza in commento ha sottolineato, in prima battuta, come il licenziamento de quo avesse natura indubbiamente oggettiva siccome niente affatto disciplinare, in considerazione della dicotomia sancita dall'art. 3 della L. n. 604/1966 e del costante orientamento di giurisprudenza e dottrina consolidate, che hanno in più occasioni ribadito come il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia una categoria "... frammentaria e che comprende tutto ciò che non è disciplinare" (ex multis: Cass. 21 maggio 2019, n. 13649; Cass. 22 gennaio 2019, n. 6678; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29250; Cass. 4 ottobre 2016, n. 19774).

Ha poi continuato il Giudicante, evidenziando come la scelta del legislatore di provvedere al "congelamento" dei licenziamenti dei dipendenti durante la fase di prima emergenza pandemica (il cui costo di mantenimento senza svolgimento della prestazione veniva, peraltro, correlativamente assunto dall'INPS) trovasse la propria ragione nella finalità di preservare la tenuta occupazionale e garantire livelli adeguati di reddito a beneficio di lavoratori e famiglie, così rimandando, alla fase post emergenziale, ogni valutazione aziendale circa la persistente sussistenza di giustificati motivi oggettivi di licenziamento del personale.

Tali ragioni valgono all'evidenza anche per il licenziamento per inidoneità permanente alla mansione specifica, posto che, come evidenziato dall'estensore, solo all'esito del superamento della crisi potrà esservi una attuale e concreta scelta datoriale in merito all'eventuale persistenza dell'esigenza di riorganizzazione aziendale e, dunque, anche in relazione al ripescaggio del lavoratore inidoneo, in ossequio al disposto di cui all'art. 42 del D.Lgs. n. 81/2008 (che, come è noto, dispone che "il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12. marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all'articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un'inidoneità' alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza").

Sotto il profilo della tutela apprestata dall'ordinamento, dunque, la conseguenza rimediale al comminato licenziamento non può essere che la declaratoria di nullità dello stesso per violazione della norma imperativa di cui all'art. 46 del D.L. n. 18 del 2020, grazie al richiamo dell'art. 2, 1° comma del D.Lgs. n. 23/2015, che prevede la massima sanzione della reintegra e del risarcimento in relazione ai casi di "nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge".

La pronuncia in esame, rappresenta allora, a buon diritto, un ulteriore, importante tassello giurisprudenziale, che certamente contribuisce ad una migliore definizione ed inquadramento della fattispecie del licenziamento per sopravvenuta inidoneità allo svolgimento della mansione, nell'alveo della macro area dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e della copertura applicativa del divieto imperativo di contrasto all'emergenza pandemica, adottato dal legislatore a salvaguardia della tenuta occupazionale dell'ordinamento.

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*A cura dell'avv. Paolo Patrizio, Studio Legale Patrizio - Partner 24 ORE Avvocati

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