Dlgs 231, società salve se il reato non è causato da deficit organizzativi
Il giudice deve verificare se il rispetto del Modello avrebbe evitato l’illecito
La responsabilità dell’ente per gli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001 può essere affermata solo se la “colpa in organizzazione” abbia avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto: lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 21640 del 19 maggio scorso. Il giudice di merito, perciò, deve idealmente collocarsi nel momento in cui l’illecito penale è stato commesso e «verificare se il “comportamento alternativo lecito”, ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie di quello verificatosi».
La Cassazione ha quindi ribadito il principio di diritto – affermato per la prima volta, in relazione a reati dolosi, dalla sentenza 23401/2021 – secondo cui il giudizio di responsabilità dell’ente non presuppone una valutazione della compliance alle regole cautelari di tipo globale: la sussistenza degli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001 va quindi esclusa quando il reato presupposto è frutto di un’iniziativa estemporanea e fraudolentemente elusiva delle prescrizioni del modello organizzativo.
Tale impostazione era stata accolta per i reati colposi dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza ThyssenKrupp (38343/2014), secondo la quale non è consentito al giudice del merito neppure un vaglio sull’adeguatezza del modello condotto solo “in generale”, né è possibile sanzionare l’ente mediante un criterio sillogistico semplificatorio secondo cui la commissione del reato equivale a dimostrare l’inidoneità dell’assetto organizzativo.
Compito del giudice, sottolinea la sentenza 21640/2023, è verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o, quantomeno, tendeva a rendere minimo. L’accertamento della responsabilità dell’ente, insomma, deve passare attraverso la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, che intercorrono tra la carenza organizzativa e il fatto-reato, sicché il reato presupposto deve essere in collegamento con la carenza di auto-organizzazione, che costituisce la vera e propria condotta stigmatizzabile dell’ente.
Spetta all’accusa dimostrare che la responsabilità penale individuale della persona fisica possa estendersi all’ente, individuando precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse o vantaggio dell’altro (criterio di imputazione oggettiva previsto dall’articolo 5, comma 1, del Dlgs 231/2001).
Corollario di questo principio è che l’ente dotato di modelli organizzativi idonei e tendenzialmente efficaci potrebbe andare esente dalla responsabilità prevista dal Dlgs 231/2001 pur quando uno dei reati presupposti sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, con prevedibile effetto virtuoso anche rispetto all’incentivazione dell’adozione di modelli di compliance aziendale. Per converso, prosegue la sentenza in esame, «l’ente che non si sia dotato affatto di siffatti modelli organizzativi risponderà verosimilmente del reato presupposto commesso dal suo legale rappresentante, se compiuto a suo vantaggio o nel suo interesse», a condizione che sia accertata la colpa organizzativa, che non può coincidere con la mera mancata adozione del modello (Cassazione, sentenze 18413 del 10 maggio 2022 e 6640 del 24 febbraio 2022).
LE SENTENZE
L’efficacia del modello
Il giudice di merito deve verificare se il «comportamento alternativo lecito», ossia l’osservanza del modello organizzativo virtuoso, per come esso è stato attuato in concreto, avrebbe eliminato o ridotto il pericolo di verificazione di illeciti della stessa specie Cassazione 21640/2023
Il nesso causale
L’accertamento della responsabilità dell’ente presuppone la verifica della sussistenza di specifici nessi, di ordine naturalistico e normativo, fra la carenza organizzativa e il fatto-reato e il giudice di merito deve verificare se il reato della persona fisica sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare organizzativa violata mirava ad evitare o a rendere minimo
Cassazione, 23401/2021