Il CommentoComunitario e Internazionale

Dopo la COP28: le prospettive delle ambizioni europee tra luci e ombre

Pur rappresentando un passo avanti con l’adozione del “<i>phase out</i>” dai combustibili fossili, la Conferenza lascia irrisolte varie questioni critiche. Tra queste, l’ambiguità sui “<i>combustibili da transizione</i>”, l’assenza di sanzioni concrete per i Paesi che non rispettano gli obiettivi fissati nonché la posizione degli Emirati Arabi Uniti, e di altri Paesi produttori di idrocarburi

Sulla scena globale del contrasto al cambiamento climatico che, come noto, è uno dei capisaldi della disciplina ESG, l’Unione Europea ha da sempre cercato di posizionarsi in qualità di trendsetter e modello di innovazione. Attraverso un impegno ultradecennale in sede di produzione normativa (nonché presso le molteplici Autorità comunitarie e fori competenti produttivi di soft law), l’UE ha posto al centro della propria agenda economica e sociale la concreta integrazione delle considerazioni ambientali, sociali e di governance per la promozione di uno sviluppo economico sostenibile.

Questo impegno si è riflesso in una serie di progetti ambiziosi, tra cui il Green Deal Europeo , il piano “ Fit for 55 ” e numerose iniziative d’impatto in ambito finanziario. L’Unione, con una spinta vigorosa – ma talvolta forse prematura – verso la neutralità climatica nelle sue politiche industriali del mercato interno, ha al contempo contribuito a definire l’agenda mondiale sul clima e la sostenibilità attraverso la partecipazione ai consessi internazionali e la collaborazione con i partner strategici globali.

Nel contesto di questi sforzi, la 28esima Conferenza delle Parti sul Clima delle Nazioni Unite (la “COP28”), conclusasi a Dubai pochi giorni fa, ha rappresentato una tappa cruciale di verifica della disponibilità dei diversi Paesi, inclusi quelli dalle economie emergenti ed in via di sviluppo, nella lotta al cambiamento climatico. La COP28, inoltre, ha messo alla prova l’abilità dell’UE di tradurre il suo impegno interno in azioni e accordi globali, esponendo al contempo le difficoltà dei partner internazionali nel mantenere e rafforzare gli impegni presi.

Se da un lato, la Conferenza ha offerto all’Unione Europea una ribalta internazionale per dimostrare il suo ruolo di avanguardia, dall’altro lato ha evidenziato le sfide da affrontare nell’attuale, sempre più complesso ed interdipendente, contesto geopolitico. Le crescenti preoccupazioni circa il ritmo e l’efficacia con cui i Paesi stanno affrontando il progressivo abbandono dei combustibili fossili e la resistenza, in particolare, di alcuni attori chiave, quali la Cina e gli Stati del Golfo (tra cui i padroni di casa, gli Emirati Arabi Uniti), hanno reso plasticamente evidente il divario tra le ambizioni europee e la realtà politica globale, in cui risulta molto complesso bilanciare le diverse priorità economiche, ambientali e sociali dei Paesi partecipanti.

Nonostante le incertezze emerse durante lo svolgimento dei lavori, la COP28 si è conclusa – almeno formalmente – con una riconferma degli impegni precedentemente assunti a livello internazionale. Il testo finale degli accordi della Conferenza riconosce la necessità di un “ phase out ” dall’impiego dei combustibili fossili entro il 2050. Benché l’accordo raggiunto rappresenti un passaggio decisivo – da alcuni commentatori definito addirittura “storico” – nella lotta al cambiamento climatico, tale risultato potrebbe non essere sufficiente a placare le preoccupazioni, giacché la mancanza di piani dettagliati e scadenze specifiche intermedie per tale transizione potrebbe portare ad azioni intempestive o scarsamente efficaci nel percorso verso la neutralità climatica.

Si può rinvenire un’analogia tra le preoccupazioni emerse in relazione ad una certa vaghezza sugli impegni concreti e, soprattutto, sull’accidentalità del percorso che ha caratterizzato la COP28, e gli “stop-and-go” che, in ambito UE, stanno caratterizzando in queste settimane il laborioso fine tuning della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (“CSDDD”, per cui si rinvia a un precedente contributo in questa stessa rubrica), dal cui ambito di applicazione sarebbe stato provvisoriamente escluso l’intero comparto finanziario . L’esclusione del settore che è cruciale per indirizzare i flussi di investimento verso attività sostenibili e per la promozione della responsabilità aziendale parrebbe suggerire un “ raffreddamento ” anche delle ambizioni europee in ambito ESG.

La CSDDD è stata concepita per imporre alle società di dimensioni medio - grandi l’obbligo di condurre una due diligence sulle proprie attività e sulle catene di approvvigionamento, tracciando anche i propri fornitori in termini di impatto ambientale e sociale. L’esclusione del settore finanziario implica che, almeno temporaneamente, le banche, le compagnie di assicurazione, i gestori del risparmio e gli altri intermediari finanziari non saranno tenuti a valutare o a riferire in maniera stringente sull’impatto ambientale e sociale delle loro attività e investimenti. Tuttavia, in considerazione del predetto ruolo nevralgico dell’intermediazione finanziaria, con la sua esclusione dall’ambito applicativo della CSDDD, l’Unione Europea probabilmente abdicherà, almeno in parte, alla possibilità di influenzare significativamente il percorso verso la sostenibilità del sistema economico globale.

Di converso, si può salutare positivamente l’avanzamento dei lavori europei sulla Green Homes Directive (“GHD”, provvedimento di rifusione della prima Direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia UE 2010/31). Tale Direttiva si concentra sull’aumento dell’efficienza energetica e sulla riduzione delle emissioni di gas serra degli edifici, riconoscendo l’importante ruolo che il settore immobiliare gioca nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’UE. L’accordo raggiunto in sede di trilogo sulla GHD introduce nuovi standard per la ristrutturazione degli edifici, con l’obiettivo di ridurre il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20 - 22% entro il 2035. Inoltre, prevede l’installazione progressiva di impianti solari sugli edifici e stabilisce che tutti i nuovi edifici pubblici debbano essere a zero emissioni dal 2028 e, più in generale, tutte le nuove costruzioni a partire dal 2030.

Cionondimeno, anche in questo caso, le scelte comunitarie sembrano aver risentito del generale ridimensionamento delle ambizioni internazionali: invero l’accordo raggiunto risulta molto meno ambizioso rispetto alle prime versioni di GHD e gli standard minimi di prestazione energetica sono stati rielaborati, permettendo, tra l’altro, agli Stati Membri di scegliere autonomamente le proprie strategie nazionali di ristrutturazione degli edifici.

La realizzazione del percorso intrapreso dall’Unione Europea nell’implementazione dei principi ESG si prospetta ricca di sfide. La COP28, pur rappresentando un passo avanti con l’adozione del “phase out” dai combustibili fossili, lascia irrisolte varie questioni critiche. Tra queste, l’ambiguità nel testo finale della COP28 sui “combustibili da transizione, l’assenza di sanzioni concrete per i Paesi che non rispettano gli obiettivi fissati nonché la posizione degli Emirati Arabi Uniti, e di altri Paesi produttori di idrocarburi, propensi a soluzioni tecnologiche per limitare le emissioni piuttosto che ad una transizione completa verso fonti rinnovabili, hanno creato tensioni con l’UE e i Paesi occidentali. Tali incertezze a livello internazionale si riflettono anche nelle politiche interne dell’UE, stemperando le sue ambizioni iniziali.

Lo scenario qui brevemente rappresentato pone l’Unione Europea di fronte a un bivio decisivo: continuare a porsi come leader internazionale oppure adattarsi alle complesse dinamiche geopolitiche ed economiche, rallentando il passo lungo una traiettoria che sembrava già tracciata. Il futuro del ruolo dell’UE nella lotta al cambiamento climatico e la sua transizione verso un’economia sostenibile dipenderanno dalla capacità di rispondere efficacemente a queste sfide e di rafforzare il proprio approccio alla “diplomazia climatica, all’interno di un contesto geopolitico complesso e multipolare, in cui la leadership del modello giuridico ed economico dell’Occidente è costretta a un colpo d’ala, reinventandosi ambiziosamente per contrastare gli attacchi e le accuse che riceve da più fronti.

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*A cura di Pietro Massimo Marangio - Counsel e Gabriel Zurlo Sconosciuto - Associate, Lexia Avvocati