Penale

È omicidio e non aborto colposo causare la morte del feto durante il travaglio del parto

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di Paola Rossi

Il feto «nascente» è una persona. È perciò omicidio e non aborto colposo il reato che commette l'ostetrica se procura la morte del nascituro per asfissia perinatale. È cioè una persona a tutti gli effetti il feto dopo la rottura del sacco amniotico, primo segno di autonomia dell'essere umano dal ventre materno, a differenza del feto impiantato nell'utero prima che sia formato per poter affrontare la nascita. La Corte di cassazione con la sentenza n. 27539 di ieri ha quindi confermato la condanna a un anno e 9 mesi di reclusione dell'ostetrica imputata per omicidio colposo perché, in quanto responsabile del rilevamento del battito cardiaco del nascituro durante il travaglio, aveva omesso il monitoraggio in sala parto per un arco di tempo di almeno mezz'ora, quei trenta minuti fatali per il bambino nato morto e preziosi per tentare un parto cesareo o l'estrazione con la ventosa. Infatti, l'ostetrica aveva mancato di dare l'allarme al ginecologo il quale aveva praticato la rischiosa manovra di Kristeller una volta compreso che vi era assenza di battito cardiaco fetale. Ma non era a tale manovra imputabile il decesso del feto che l'autopsia collocava circa 30 minuti prima dell'esecuzione della manovra.

La responsabilità medica
A carico del medico responsabile del decesso del feto o del neonato scatta il reato di procurato aborto o di omicidio a seconda se il frutto del concepimento aveva raggiunto o meno l'autonomia della vita e tale momento di differenziazione si avvera con l'inizio del travaglio. E la rottura del sacco amniotico è stata individuata dalla giurisprudenza come la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.
L'ostetrica - unica figura condannata dell'equipe medica - contestava l'imputazione di omicidio colposo in quanto il "feticidio" non vi potrebbe rientrare per diversità del bene tutelato. E, a sostegno di tale tesi, faceva rilevare che il Legislatore avrebbe tracciato tale linea di demarcazione con la previsione dello specifico reato (articolo 578 del codice penale) a carico della madre e determinatosi in condizioni di abbandono materiale e morale, nella forma del feticidio (durante il parto) o infanticidio (immediatamente dopo la nascita). L'ostetrica riteneva perciò che al suo caso si potesse al limite attagliare la nozione del reato di procurato aborto previsto dalla legge 194. Ma la Cassazione risponde che tale fattispecie riguarda la morte del feto prima di una condizione di autonomia rispetto alla madre in gravidanza.

Sezione IV penale – Sentenza 21 giugno 2019 n. 27539

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