Società

E se fosse la cessione d'azienda l'atto da assoggettare a tassa fissa?

La questione se la cessione di quote societarie fosse assoggettabile ad imposta di registro proporzionale anziché fissa è stata risolta dal legislatore nel senso sostenuto dalla (unanime?) dottrina.

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di Giampiero Guarnerio *

La questione se la cessione di quote societarie fosse assoggettabile ad imposta di registro proporzionale anziché fissa è stata risolta dal legislatore nel senso sostenuto dalla (unanime?) dottrina.

Presso le Corti Tributarie pendono numerosi giudizi il cui esito sembra scontato. Come ad esempio il caso deciso dall'Ordinanza 24647 del 13 settembre 2021 dalla Suprema Corte, ove, ricordato l'intervento risolutivo della Corte Costituzionale (sent. 39/2021) si è ribadito il concetto per cui la tassazione dell'atto deve essere applicata in ragione della sua specifica natura, indipendentemente dalla correlazione con altri atti, salva in ogni caso l'applicazione della disposizione antielusiva ex art. 10-bis della L. 212/2000 (Statuto del Contribuente).

La questione quindi potrebbe non finire qui: non si può escludere che attraverso la lettura di documenti diversi da quelli oggetto di registrazione l'Agenzia non possa assumere un intento elusivo e, per quella via, applicare l'imposta proporzionale al contratto di cessione di partecipazioni societarie. Vero è che l'applicazione in chiave elusiva dell'art. 20 del T.U.R. è stata inizialmente sostenuta, ma poi esclusa dalla Suprema Corte. Ma è anche vero che il nuovo impianto normativo o un modo diverso di sostenere la riqualificazione sulla base dell'art. 10-bis L. 212/2000 anziché sulla base dell'art. 20 del T.U.R. potrebbe riaprire gli scenari futuri.

C'è però una questione che non risulta essere mai stata affrontata dalla Corte di Cassazione che – per una sorta di "nemesi tributaria" – potrebbe portare ad un risultato sorprendente qualora l'argomento si ripresentasse in questa nuova veste.

La tesi per la quale si doveva applicare l'imposta proporzionale anziché quella fissa al contratto di cessione di azioni o quote verte sul fatto che la cessione di quote, dal punto di vista economico (e potremmo dire, per un momento, anche "giuridico") è equivalente alla cessione d'azienda. Sicché parrebbe iniquo tassare diversamente la "medesima operazione" sol perché si cedono le azioni o quote che, in definitiva, altro non rappresentano che il bene di primo grado, quando il bene di secondo grado è l'azienda.

Ebbene, c'è da chiedersi se – a parità di effetti economici e "giuridici" dei due tipi di contratto - sarebbe più giusto applicare alle cessioni di quote (bene di primo grado) l'imposta proporzionale applicabile alla cessione d'azienda ex art. 2 della Tariffa, ovvero applicare alla cessione d'azienda la tassa fissa ex art. 11 della Tariffa applicabile alla cessione di quote.

In effetti, una volta che si sostiene che le due operazioni sono equivalenti, è palese che vi sono due norme concorrenti:

• l'art. 2 comma 1 della Tariffa, che prevede l'applicazione dell'imposta proporzionale agli "Atti di cui al comma 1 dell'art. 1 relativi a beni diversi da quelli indicati nello stesso articolo e nel successivo art. 7" (che è la norma di solito citata dall'Ufficio)

• l'art. 11 della Tariffa, che prevede la medesima tassazione in misura fissa agli atti "aventi per oggetto la negoziazione di quote di partecipazione in società o enti di cui al precedente art. 4 […]".Quale delle due prevale, dunque?

Applicando il noto principio per cui lex specialis derogat generali sin potrebbe già dare una prima risposta: l'art. 2 della Tariffa è certamente una norma di carattere generale, che prevede per tutti gli atti traslativi della proprietà una tassazione proporzionale del 3%, salvo le eccezioni dallo stesso previste (cessioni di immobili o di beni mobili registrati); l'art. 11 è invece, pacificamente, una legge speciale, concorrente rispetto alla prima (in sua assenza, pacificamente la cessione di quote o azioni rientrerebbero nella regola generale di cui all'art.2), e quindi prevalente.Ma v'è di più.

Entrando nel merito della legge speciale, si osserva che non tutte le cessioni di quote o azioni sono assoggettabili all'imposta fissa, ma soltanto quelle di partecipazione in "società ed enti di cui all'art. 4".

Quest'ultimo così recita: "atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali ed agricole ".

Si badi che quest'ultima locuzione è sovrapponibile alla definizione di azienda di cui all'art. 2.555 del codice civile.

Dal che possiamo trarre due conclusioni:

- la circostanza per cui il bene di secondo grado è un'azienda commerciale è prevista dal legislatore come condizione per l'applicazione dell'imposta in misura fissa al contratto di cessione di quote. Sicché parrebbe illogico sostenere l'applicazione dell'imposta proporzionale in ragione del fatto che attraverso la cessione di azioni o quote si è indirettamente ceduta un'azienda;

- la tesi per cui le due operazioni a confronto sarebbero equivalenti sul piano "giuridico" ed economico farebbe prevalere la tassazione fissa al contratto di cessione d'azienda, essendo conseguente all'applicazione della norma speciale – e quindi prevalente – di cui all'art. 11 della Tariffa

Ma ne possiamo trarre anche una terza, forse apparentemente più ardita, ma – sgombrando il campo dalle abitudini consolidate – a nostro avviso assai solida: nella definizione di "enti diversi dalle società" l'art. 4 fa rientrare pacificamente le aziende commerciali (ovvero le "organizzazione di persone o di beni con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali"), le cui quote – indipendentemente dalla soglia di partecipazione – se cedute comportano l'applicazione dell'imposta in misura fissa ex. art. 11 della Tariffa.

Filosofeggiando, si potrebbe ancora sostenere che quando l'imprenditore cede l'azienda, cede l'intero, non una quota. Ma, formalismi a parte, l'ordinamento conosce il caso della comproprietà di aziende – come accade ad esempio nel caso dell'azienda coniugale /(art. 177 c.c.), o la comunione generata tra più eredi in caso di successione. Perciò, in assenza di altri limiti fissati dal legislatore nell'art. 11 della Tariffa o altrove, deve privilegiarsi l'interpretazione per cui la cessione dell'intera azienda equivale alla cessione di una quota di partecipazione nella stessa pari al 100%.

*Giampiero Guarnerio, dottore commercialista e revisore legale, partner, Rödl & Partner

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