Penale

Emergenza Covid-19 e Dpcm: raccomandazioni senza sanzioni ma la violazione può rilevare ai fini della colpa

Quali conseguenze penali per la violazione per il mancato distanziamento nell'assemblea di condominio?

di Aldo Natalini

L’undicesimo Dpcm dell’era Covid - datato 18 ottobre, in vigore dal 19 ottobre - è il primo redatto con la tecnica novellistica: modifica in alcune parti quello varato appena una settimana fa, il 13 ottobre (che resta in vigore fino al 13 novembre, con le odierne aggiunte o sostituzioni); lo implementa, lo novella per l’appunto (vedi il testo consolidato del Dpcm del 13 ottobre 2020, come modificato dal Dpcm del 18 ottobre 2020).

Non è soltanto una questione di legimatica, cioè di modellizzazione degli atti normativi: la legistica può rivelare molto del fenomeno (nella specie epidemico) che si intende regolare con l’atto-fonte (nella specie con misure amministrative di contenimento, attuative di previsioni legislative) e soprattutto del quomodo. In buona sostanza, la particolare tecnica adottata con il Dpcm 18 ottobre 2020 si fa sentire su fronti delicati, quali l'aspetto sanzionatorio e il valore e gli effetti della violazione delle raccomandazioni. Tra quest'ultime si annoverano obblghi di non poco conto: quella di evitare feste nonché di ricevere persone non conviventi in numero superiore a sei o quella di svolgere anche le riunioni private, quali le assemblee di condominio, in modalità a distanza. Nella sostanza, come "incasellare" giuricamente questi precetti? Quali sono le conseguenze dal punto di vista sanzionatorio per chi trasgredisce questi precetti?

Ma andiamo con ordine.

Nuovi precetti, quadro sanzionatorio invariato  

In disparte le previsioni di carattere organizzativo-programmatorio pure contenute nel Dpcm del 18 ottobre (quali, per il comparto scolastico, le forme flessibili alle superiori nell’organizzazione della didattica; l’incremento della didattica digitale, la spinta ai turni pomeridiani; l’ingresso a partire dalle 9), quanto agli obblighi di nuovo conio – diretti sia alle persone fisiche che giuridiche (esercizi commerciali, associazioni, enti in genere) –essisono presidiati dal consueto apparato amministrativo-sanzionatorio qui già oggetto di approfondimento .

Proprio perché si tratta di una novella ad Dpcm già vigente, sul fronte sanzionatorio non cambia nulla rispetto ai “vecchi” precetti ormai interiorizzati (quali: il divieto di assembramento in luoghi pubblici, il mancato distanziamento interpersonale minimo di un metro; l’obbligo di indossare sempre la mascherina; il divieto di manifestazioni pubbliche in forma non statica). Si tratta solo di declinare i precetti di nuovo conio – e quelli che, verosimilmente, verranno imposti a breve col prossimo Dpcm - alle sanzioni amministrative individuate dall’articolo 4 del Dl 19/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 35/2020, varato durante la “fase 1” dell’emergenza sanitaria e “riattualizzato” da ultimo col Dl n. 125/2020, in corso di conversione in legge presso la I Commissione di Palazzo Madama (Atto senato n. 1970).

I nuovi divieti di praticare sport “di contatto individuale” a carattere “ludico-amatoriale”, di effettuare sagre e fiere di comunità, ovvero attività convegnistiche o congressuali (ad eccezione di quelle che si svolgono a distanza), come pure il nuovo limite massimo di sei persone a tavola nei ristoranti sono tutte misure sanzionabili amministrativamente col pagamento della pena pecuniaria da 400 a 3.000 euro, abbattibile a 280 euro in caso di pagamento entro i cinque giorni ed elevabile a 560 euro in caso di recidiva.

Quanto alle misure previste per pubblici esercizi o attività produttive o commerciali (quali: le restrizioni degli orari di apertura e chiusura, dalle 8 alle 21 delle sale giochi, sale scommesse e sale bingo; il divieto di consumare sul posto o nelle immediate adiacenze dell’esercizio di ristorazione dalle ore 18 e fino alle ore 24; l’obbligo per gli esercenti di esporre un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente nel locale), si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni, di competenza del Prefetto del luogo di commissione della violazione.

 

Ristoranti: corretto il bug del precedente Dpcm

Quanto alle attività di ristorazione, si segnala che il nuovo Dpcm ha corretto il bug contenuto nel precedente decreto, che aveva indicato solo l’orario di chiusura degli esercizi - ore 24 – ma non quello di riapertura, il che talora aveva dato luogo a comportamenti elusivi consistiti in “furbesche” riaperture dopo lo scoccare della mezzanotte.

La nuova lettera ee) dell’articolo 1 del Dpcm in commento consente ora l’attività dei servizi di ristorazione a tavola (bar, pur, ristoranti e gelaterie) «dalle ore 5,00 fino alle ore 24,00» (salvo limitazioni più stringenti da parte delle regioni), con conseguente sicura sanzionabilità di eventuali violazioni orarie.

Con circolare del 13 ottobre 2020, il Viminale ha precisato che il rispetto dei limiti orari «non viene meno qualora si consenta agli avventori un ragionevole, contenuto margine temporale per completare la consumazione».

Quanto alla ristorazione con asporto, mentre prima era consentita senza limiti orari, ora, per effetto della novella, è esercitabile «fino alle 24», con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.

 

La violazione delle raccomandazioni: quid iuris?

Nessuna sanzione è prevista - naturalmente - per l’eventuale violazione delle raccomandazioni già contenute nel Dpcm del 13 ottobre (la più nota: quella di evitare feste nonché di ricevere persone non conviventi in numero superiore a 6) ed inserite anche quello in commento (che raccomanda «fortemente» di svolgere anche le riunioni private, quali le assemblee di condominio, in modalità a distanza: vedi nuova lettera n-bis).

Le raccomandazioni sono misure di carattere non prescrittivo, mere esortazioni “paternalistiche” che non integrano precetti vincolanti cui si possa correlare l’applicazione di sanzioni (amministrative) per comportamenti difformi (in questo senso vedi anche la circolare del ministero dell’interno del 16 ottobre 2020).

Men che meno la loro eventuale violazione all’interno di abitazioni private può essere accertata dalle forze dell’ordine (sollecitate magari da un vicino rancoroso) con gli ordinari poteri di polizia amministrativa (vedi articolo 13 della legge n. 689/1981, che limita la possibilità di procedere a ispezioni di cose e di luoghi «diversi dalla privata dimora»), salvo un (improbabile) consenso all’accesso da parte del trasgressore ovvero l’impiego dei poteri di accesso previsti dal Testo unico di pubblica sicurezza per risolvere dissidi privati.

Nondimeno, la raccomandazione ha un possibile - indiretto - rilievo penale, se violata: nella misura in cui essa contiene una regola cautelare volta a scongiurare un pericolo (nella specie, di contagio, conseguente al mancato rispetto delle norme sul distanziamento interpersonale), può costituire il parametro per ricostruire, in sede processual-penale, con ogni mezzo di prova possibile (anche per testimoni), la “misura oggettiva” della colpa (specifica) in capo al soggetto agente, al pari della violazione di un ordine, di una disciplina (si pensi ad un caso di epidemia colposa originato da un cluster esploso all’interno di un’abitazione privata in occasione di una festa con parecchi partecipanti, tra cui uno positivo).

La particolare tecnica delle modifiche ai Dpcm

L’aver stavolta preferito modificare anziché riscrivere completamente un nuovo Dpcm è anzitutto sintomatico dell’urgenza (supposta o reale) di provvedere: la crescita esponenziale della curva dei contagi registratasi negli ultimi giorni ha costituito l’occasio per il Governo per (re)ntervenire senza attendere i canonici dieci o quindici giorni necessari - a detta di tutti gli epidemiologi - per verificare gli effetti delle precedenti misure di contenimento già adottate.

Ma la tecnica novellistica denota anche l’inadeguatezza - originaria o sopravvenuta - di talune misure contenute nel Dpcm del 13 ottobre, rivelatesi tanto effimere da dover essere rimpiazzate dopo soli cinque giorni con altre, quelle odierne, a loro volta destinate - proprio in queste ore - ad essere superate, nei fatti e negli effetti, dalle più stringenti ordinanze restrittive adottate e adottante dalle regioni più esposte al contagio (tra tutte Lombardia e Campania, ma anche Piemonte, salvo altre), con coprifuoco notturni disposti avvalendosi dei poteri conferiti dall’articolo 1, comma 2, del Dl n. 125/2020, modificativo dell’articolo 1, comma 16, del Dl 33/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 74/2020). E si preannuncia già un prossimo Dpcm già nei prossimi giorni, con la possibile chiusura di palestre e piscine, nuovi limiti orari nei centri commerciali nel fine settimana e qualche altra “novella”.

Si assiste, ormai, a un processo di “invecchiamento normativo” precoce quanto inedito, che impone, a tutti i livelli decisionali di governo dell’emergenza sanitaria in atto, incessanti aggiustamenti “di tiro” e continui “giri di vite” tradottisi: a livello di fonte primaria, in decreti legge modificativi di coevi decreti legge non ancora convertiti in legge; a livello di fonti secondarie o di prassi, in Faq ministeriali, circolari innovative o comunicati ministeriali correttivi/integrativi di previsioni di Dpcm in vigore (e spesso poco chiari); a livello regionale e comunale, in ordinanze restrittive che, tra coprifuoco e chiusure anti-movida, andranno ad attuare in maniera “puntiforme” la nuova strategia governativa dei “mini-lockdown” dal basso.

Questa metastasi di fonti del diritto “anti-Covid” - legislative, amministrative, a valenza nazionale, regionale o comunale - dimostra una dilagante compulsività decisionale che, di novella in novella, perviene ad esiti talora affannati, raffazzonati, ambigui o compromissori. Come la previsione “fantasma” sulla competenza sindacale per l’istituzione di “coprifuoco” locali: misura-simbolo, peraltro, particolarmente severa dapprima “abdicata” dal governo centrale ai sindaci, per “annunciata” in conferenza stampa dal premier Conte sulla base delle bozze inviate al Cts ma poi “smussata” nottetempo dopo le proteste dell’Anci dal testo ufficiale del Dpcm (che utilizza infine un’espressione impersonale: «può essere disposta la chiusura al pubblico, dopo le 21…» delle strade o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento). Un chiaro esempio di «codardia semantica» del nuovo Dpcm subito ribattezzato “scaricabarile” (vedi A. Orioli, «Un Dpcm scaricabarile e il rischio di perdere contro il coronavirus», ne «ll sole 24 ore» del 19 ottobre 2020), cui alla fine si è posto rimedio con la circolare del Viminale del 20 ottobre che affida ai sindaci, insieme ai rappresentati dell’autorità sanitaria locale, il compito di individuare le aree urbane a rischio e, in sede collegiale, in seno al comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica istituito presso le Prefetture, di valutare l’opportunità di emanare ordinanze di chiusura, parziale o totale, con i controlli assicurati dalle forze dell’ordine coordinate dal prefetto e dal questore .

 

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