Penale

Equa riparazione, nel penale i termini decorrono dalla costituzione di parte civile

La Corte costituzionale ha dichiarato la questione infondata sentenza n. 203/2021

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Con riferimento all'equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, è infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Napoli con riferimento all'art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 nella parte in cui prevede che il processo penale si considera iniziato per la persona offesa soltanto con l'assunzione della qualità di parte civile. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, sentenza n. 203/2021 depositata oggi, bocciando l'ordinanza del luglio 2020 della Corte d'appello di Napoli.

Per la Corte esiste tuttavia la necessità di intervenire per la tutela dei diritti anche di natura civile della vittima del reato e ciò potrà essere fatto nell'ambito della legge delega di riforma del processo penale.

Il caso - Il ricorrente aveva esposto di aver presentato querela il 10 novembre 2010 a seguito di un'aggressione subita e di aver sollecitato più volte l'autorità giudiziaria. Tuttavia, soltanto il 9 gennaio 2015 il Pm aveva emesso il decreto di citazione a giudizio. A seguito di vari rinvii, all'udienza del 2 luglio 2019 il ricorrente si era costituito parte civile ed il giudice aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere, essendosi i reati estinti per prescrizione. A questo punto il ricorrente ha dedotto che la durata del procedimento penale doveva calcolarsi a far tempo dal giorno della presentazione della querela, in ragione dell'interpretazione dell'articolo 6, paragrafo 1, CEDU (sentenza Cedu 7 dicembre 2017, Arnoldi contro Italia) e su tali premesse ha addotto l'illegittimità costituzionale della norma.

La motivazione – Per la Consulta, il censurato articolo 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001 ha individuato una soluzione di carattere generale, nel senso che, ai fini del computo del termine ragionevole, il processo penale si considera iniziato soltanto con l'assunzione della qualità di parte civile, e cioè al momento della formale instaurazione del rapporto processuale secondo le modalità dettate dall'articolo 78 cod. proc. pen. (e non già solo per il tramite della presentazione di denunce o istanze al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria), momento che segna, peraltro, anche il criterio necessario di coordinamento con l'azione per le restituzioni e per il risarcimento proposta in sede civile ai sensi dell'articolo 75 cod. proc. pen.

Non può ravvisarsi nella scelta legislativa, prosegue la Corte, un contrasto immediato con il parametro convenzionale costituito dall'articolo 6 paragrafo 1, CEDU, in riferimento all'articolo 117, primo comma, Cost.

Né, prosegue, è di per sé imputabile all'articolo 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, "nella parte in cui tale norma determina la durata considerata ragionevole del processo penale per la parte civile, una lesione sistemica degli interessi di questa, allorché le peculiarità del caso concreto rivelino un malfunzionamento (consistente nell'eccessiva durata delle indagini che porti alla prescrizione del reato), valutato ex post, di una delle due vie giudiziarie autonome che l'ordinamento interno offre al danneggiato per far valere il suo «diritto di carattere civile» al risarcimento".

Del resto, prosegue il ragionamento, nella sentenza n. 249 del 2020 della Corte costituzionale si è conclusivamente ritenuto che "esulano dalle finalità perseguite dai rimedi avverso la violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole del processo di cui all'art. 6, paragrafo 1, CEDU – trovando appropriata ed effettiva risposta mediante ricorso ad altre azioni e in altre sedi – i profili attinenti all'accertamento di una qualche responsabilità correlata ai ritardi o alle inerzie nell'adozione o nella richiesta dei provvedimenti necessari a prevenire o reprimere comportamenti penalmente rilevanti".

Ed è proprio in tale prospettiva, conclude la Consulta, che la Delega al Governo per l'efficienza del processo penale (art. 1, comma 18, lettera b), della legge 27 settembre 2021, n. 134), "detta principi e criteri direttivi per l'adozione di una disciplina organica della giustizia riparativa, prevedendo l'introduzione nell'ordinamento della definizione di vittima del reato, valorizzandone il ruolo e delineandone nuovi meccanismi di tutela. È, quindi, in tale ambito e in questa prospettiva, che i diritti, anche di natura civile, della vittima del reato potranno trovare migliore protezione, attraverso l'introduzione di meccanismi idonei a prevenirne la violazione".

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