Lavoro

Equo compenso, il Tar Lazio frena: nella PA serve flessibilità

Respinto il ricorso del Coa Roma contro l'avviso Inps per 77 legali. Galletti: difficile ritenere il compenso equo<br/>

di Francesco Machina Grifeo

Doccia fredda sull'equo compenso dei legali. Il Tar Lazio, sentenza n. 9404/2021, ha infatti respinto il ricorso del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma nei confronti dell'Inps per un avviso della primavera scorsa relativo al reclutamento di 77 avvocati per incarichi di domiciliazione e/o sostituzione in udienza presso gli Uffici del Tribunale di Roma. La tariffazione prevede 250 euro per le domiciliazioni; 80 euro per le sostituzioni, "nonché 105 euro per cause superiori alle 25". Impugnati anche i requisiti per superare la selezione, fra i quali una anzianità di iscrizione all'ordine non superiore a 5 anni.

Secondo il Coa il bando violava l'art. 13, comma 6, della legge professionale (e dunque il DM n. 55 del 2014) nella parte in cui, nel fissare i compensi, non rispettava i tariffari minimi previsti. Ed in ogni caso violava il principio dell'equo compenso (legge n. 247 del 2012 e legge Regione Lazio n. 6 del 2019).

Di diverso avviso il Tar secondo cui in tema di compensi in favore degli avvocati, "la regola è data dalla libera pattuizione mentre l'eccezione (in caso ossia di mancato accordo tra le parti) dal rispetto dei minimi tariffari (DM n. 55 del 2014)". E nel caso specifico la "libera pattuizione" è sufficientemente garantita considerato che i professionisti sono liberi di stipulare o meno le singole convenzioni.

Mentre la disposizione (art. 13-bis, comma 2) secondo cui si deve fare comunque riferimento alle tariffe del DM 55 del 2014, "trova unicamente applicazione per taluni soggetti imprenditoriali (es. imprese assicurative e bancarie) che notoriamente godono di una certa forza contrattuale". Per la pubblica amministrazione, argomenta la decisione, "trova sì applicazione il concetto di ‘equo compenso' ma non entro i rigidi e ristretti parametri" del DM 55 del 2014. Nella PA dunque il concetto di "equo compenso deve ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati: da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica; dall'altro lato, alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto".

Ed a questo proposito il Collegio osserva che le attività sono di "mera domiciliazione o di sostituzione" (dominus resta l'Avvocatura Inps, cui sono riservate lo studio della causa, l'elaborazione delle strategie difensive e della redazione atti). Non solo, le cause di cui i domiciliatari/sostituti si dovrebbero occupare sono caratterizzate da "ampia ripetitività e costante serialità, trattandosi di contenzioso in materia previdenziale". Ragion per cui "il compenso previsto (250 euro per la domiciliazione ed 80 per la sostituzione in udienza, nonché 105 euro per cause superiori alle 25) si dimostra sufficientemente coerente con i principi di cui all'art. 36 Cost. circa il salario minimo e dignitoso". Tantomeno, conclude il Tar sul punto, può applicarsi la legge regionale n. 6 del 2019 perché riferita ad "enti squisitamente regionali".

Per il Presidente Galletti: "Considerato che il legale potrebbe essere chiamato a sostituire per più di 25 volte l'Avvocatura Inps, visto che il compenso passa da 80 a 105 euro, si arriverebbe a 4 euro a procedimento: difficile affermare che il compenso sia equo".

Infine, il Tribunale promuove anche i criteri di selezione in quanto rientrano nella "discrezionalità" dell'amministrazione, oltre ad avere "natura automatica" e "obiettiva" tendendo a enfatizzare il merito dei singoli candidati. Riguardo invece la "limitazione" degli anni di anzianità "trattasi come è evidente di previsione diretta a favorire i più giovani".

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